Libero, 9 gennaio 2019
La recessione in Germania
Achtung! Non è ancora recessione,ma ci stiamo arrivando. In novembre, la produzioneindustriale tedesca è scesa dell’19% mese su mese, addirittura -4,7% su base annua, il dato peggiore da quattro molto più negativo delle previsioni che puntavano su un modesto rimbalzo per correggere la rottaal ribasso dafine estate.Al contrario è arrivata la doccia fredda: per il terzo mese consecutivo la locomotiva tedesca di contrazione, un dato che comincia a destare serie preoccupazioni. Non è più possibile imputare la frenata ai nuovi regolamenti che hanno condizionato le vendite di auto o, tantomeno, ai problemi di idrico che hanno rallentato il traffico piuttosto che ai ponti di inizio autunno. Ormai nessuno si fa illusioni: la grande Germania sta marciando verso la contrazione del prodottointerno lordo anche nel quarto trimestre dopo il -0,2% del terzo. Il che, per gli economisti, ha un solo significato: recessione. A complicare la situazione contribuiscono alcuni dati settoriali che non promettono nulla di buono: l’andamento negativo dei beni di consumo si combina con il calo del Sentix, l’indice della fiducia del pubblico, così come con l’Ifo, altro indicatore in rosso, stavolta dedicato all’umore delleimprese. Insomma, la Germania ha qualche acciacco, se non di più. Il che non può che avere grossi riflessi sull’Italia, così legata all’economia d’oltre Reno. La flessione dell’industria tedesca è legata ai problemi del suocliente principale:laCina. Dall’autoalla chimica,in questi annii rapporti tra lemaggiori economie esportatrici si sono consolidati in molti modi, come sanno bene le industrie di casa nostra, spesso sacrificati a Bruxelles sull’altare di un rapporto privilegiato con Pechino. Non a caso l’offensiva di Donald Trump ha inquadrato, oltre alla Cina, anche l’auto tedesca. Si spiega così perchéieri, nonostante il bollettino negativo sul fronte dell’economia interna, la Borsa di Francoforte abbia fatto festa: per ora conta molto di più la pace tra Washington ed il Drago. A contenere il costo della crisi può contribuire il calo, per ora modesto, dell’euro sul dollaro, scivolato a quota 1,14, un trend che sembra destinato a proseguire visto l’andamento degli investimenti pubblici. Nonostante il calo della produzione industriale è improbabile che Berlino adotti una politica più espansiva in linea con le scelte di Usa e Giappone, che pure è ampiamente nelle sue possibilità. E come sarebbe nell’interesse dell’intera economia Eurozona che da mesi sta rallentando,assai di più di quanto previsto dalla Bce. Sembra ormai scontato che l’istituto di Francoforte dovrà rivedere al ribasso le stime di crescita dell’Eurozona, già fissate al 2%. Ma non si andrà, spiegano molti economisti, oltre l’1,6%. Una sbandata che, una volta tanto, non può essere addebitata all’Italia (che comunque resta il fanalino di coda),ma proprioallaGermania che può ancora contare su una situazione invidiabile del mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione resta intorno al 5%, ai minimi dalla riunificazione, con un calo di 14mila unità nell’ultima rilevazione. Ma le sicurezze di Berlino, quelle che hanno accompagnato e provocato in buona parte la politica dell’austerità inflitta all’Eurozonain questi anni, cominciano a vacillare. Intanto, Deutsche Bank, che in questi anni ha prodotto più scandali che profitti, annuncia che quest’anno taglierà i bonus dei dirigenti che lo scorso anno si sono premiati con gratifiche per 2,2 miliardi di euro: austerità sì, ma per gli altri.