la Repubblica, 9 gennaio 2019
Perché al Sud nevica e al Nord no
Le regole di un fiocco di neve sono bizzarre, come le traiettorie che disegna quando cade. I motivi sono vari: prima di tutto non esistono due cristalli uguali in natura. Può poi accadere che, a parità di latitudine, quota e temperatura, una città si ricopra frequentemente di bianco e l’altra mai. Neppure è scontato che il manto sia sempre candido: può essere bruno o rosso sangue, e non per il passaggio di predatori. Il riscaldamento climatico ha l’effetto di innalzare la quota della neve, ma là dove i fiocchi riescono a cadere, possono raggiungere cumuli anche più imponenti che in passato. Quel che avviene nelle nuvole, ancora oggi è spiegabile solo in parte, e solo con l’aiuto di leggi complicate della fisica: uno dei primi a dedicarsi alla formazione dei cristalli di ghiaccio fu Keplero. Ma oggi la meteorologia e la nivologia – la scienza che studia la neve – ci aiutano a capire molti aspetti dei batuffoli che danzano nel cielo. Si parte dalle nuvole: «Si formano a varie quote, fino a 10mila metri, e sono molto più fredde del suolo. Ogni mille metri la temperatura dell’aria scende di circa sei gradi e mezzo» spiega Michele Freppaz, che insegna nivologia all’Università di Torino e svolge le sue ricerche all’Istituto Scientifico Angelo Mosso, fondato nel 1907 sul Monte Rosa, a 2.900 metri. Con Francesco Casolo ha appena pubblicato per DeA Planeta I giorni della neve. Nelle nuvole, dove la temperatura è generalmente sotto zero, si creano i germi di ghiaccio, sempre di forma esagonale. Nel 2009 la rivista Nature ricevette la lettera di uno scienziato che invitava gli illustratori di cartoline di Natale a essere più rigorosi, smettendola di disegnare cristalli ottagonali o asimmetrici. Quando nelle nuvole i fiocchi diventano pesanti, cadono giù e nel loro percorso assumono le forme più varie. «Ma se trova temperature superiori allo zero, il ghiaccio fonde e diventa pioggia» spiega Filippo Thiery, meteorologo del Centro funzionale centrale della Protezione Civile. «Un fiocco di neve può resistere a uno- due gradi sopra lo zero. Se fa più caldo è quasi impossibile che nevichi». Un effetto del riscaldamento del clima in montagna è proprio l’innalzamento della quota-neve. «E a risentirne è tutto l’ambiente» spiega Freppaz. «Perché il manto bianco è pieno d’aria, lieve come un piumino, capace di tenere calda la superficie su cui si posa. Aiuta a evitare che le radici delle piante si congelino». Se un metro cubo di acqua arriva a mille chili, lo stesso volume di neve fresca ne pesa cento: è assai più leggero. «I fiocchi, durante il tragitto dalla nuvola al suolo, raccolgono molte sostanze chimiche dall’aria. All’inizio del disgelo le rilasciano in forma concentrata, fertilizzando il suolo e aiutando la vegetazione a risvegliarsi». Anche qui, la primavera anticipata di un paio di settimane rispetto agli anni ’ 70 rischia di creare squilibri. Non dal clima (che segue regole di lungo periodo), ma dalla meteorologia (che studia l’arco di pochi giorni) dipendono le bizzarrie della neve di queste settimane, con la Sicilia imbiancata e il Nord che scia solo grazie ai cannoni, gli abitanti delle regioni adriatiche che impugnano la pala e quelli del Tirreno intirizziti ma con il cielo azzurro. Resterà così ancora per diversi giorni. «A Roma usa dire che fa troppo freddo per la neve, ma è solo un luogo comune» smentisce Thiery. «La spiegazione è che la maggior parte delle perturbazioni invernali che portano aria gelida dall’artico o dalla Siberia attraversano l’Europa orientale e aggirano le Alpi passando dalla cosiddetta porta della Bora. Scaricano la neve sulle regioni adriatiche, imbiancando, come in questi giorni, anche la Puglia, per poi spingersi fino a Calabria, Campania e Sicilia. Ma la barriera degli Appennini resta difficile da superare e le perturbazioni non riescono a raggiungere le coste tirreniche. Qui arriva solo vento freddo, senza più nuvole». Perché si imbianchi la capitale è necessario un altro tipo di bassa pressione, «che segua la rotta della Francia e poi scenda in Italia dal Rodano» conferma Thiery. «Ma sono condizioni meno frequenti. Sul Tirreno di solito arrivano le perturbazioni dall’Atlantico, più tiepide». Quando poi la bizzarria dell’inverno è tale da riempire le nuvole di polvere del Sahara, ecco cadere un bel manto marrone. «Davanti all’Istituto Mosso vediamo a giugno una chiazza rosso sangue» aggiunge poi Freppaz. Ma per spiegare il motivo non occorre un detective: «È un’alga che ha bisogno della neve per compiere il suo ciclo vitale e si protegge dal Sole producendo il pigmento colorato».