Corriere della Sera, 8 gennaio 2019
In morte di ereo Gino Murari, un senzatetto investito in corso d’Italia
Una morte è sempre una morte, nella sua realtà definitiva identica per tutti noi. Ma l’addio alla vita di Nereo Gino Murari, senzatetto di 73 anni veneto di nascita (alcuni lo chiamavano «Verona», la sua provincia) e da tempo trapiantato a Roma (prima in piazza Mazzini e, da circa quindici anni, all’incrocio tra il sottopassaggio di corso d’Italia e via Campania) diventa l’esplicito simbolo di una condizione: Nereo è stato travolto all’alba da una macchina mentre attraversava corso d’Italia. Un pirata della strada che fino a ieri sera non era stato rintracciato.
I clochard vengono spesso indicati, e quasi sempre si sentono, come gli «invisibili». Non hanno lavoro, affetti, identità, domicilio fisso, e magari non vogliono per scelta averne, ma non sempre è così. Comunque non ci somigliano, quindi spesso «non li vediamo». E da invisibile, come se quell’auto verso le 5 di ieri avesse investito un’ombra all’alba, è tragicamente morto Nereo, che invece era una presenza visibilissima e amichevole per un intero quartiere.
Nereo aveva una caratteristica unica nel vasto e disperato popolo di chi ha perso l’orientamento nella vita, e ha la strada come non-tetto: leggeva. Continuamente. A ogni ora del mattino, del pomeriggio, della sera. Divorava romanzi, e soprattutto gialli, che erano la sua passione. Ne aveva pile, anche sulla sua bicicletta nera. Si sedeva appoggiandosi alle Mura Aureliane e apriva il suo libro del giorno, in mezzo al suo giaciglio di fortuna affacciato sul traffico del sottopasso: accanto, presenza fissa e amorevole, Lilla, una femmina di bracco nera che, come tutti i cani, guardava il suo padrone come se fosse l’unico essere umano al mondo. E anche all’alba di ieri, dopo l’incidente, lo ha vegliato fino all’arrivo dei soccorsi.
Nereo non accettava denaro, mai, e i passanti lo sapevano. Si lasciava aiutare dai volontari di Sant’Egidio e da altri gruppi. Diceva di sì (ringraziando sempre molto) se gli offrivano un caffè, o del cibo, o qualcosa di caldo. E non rifiutava mai i croccantini per lei, per la sua Lilla.
Quando aveva davvero freddo, Nereo sottolineava la sua corpulenza indossando un gran colbacco nero («ho lavorato in Russia, il gelo non mi spaventa», aveva raccontato) e si trasformava in un personaggio veramente letterario: il libro in mano, l’aria assorta, la massa di pelo nero sulla testa e un gran cappotto. Altrettanto creativa, anzi «da artista», la tenuta estiva in pantaloncini corti e maglietta. Aveva lavorato da giovane il ferro sia in Russia che in Libia e in Somalia, era forte e si vedeva. Non era solo al mondo ma aveva una sorella con cui manteneva contatti: ma non al punto da rientrare in una casa «regolare». Così almeno raccontava.
La morte di Nereo ha sconvolto la comunità spontanea che ogni giorno attraversa quell’incrocio o vive e lavora da quelle parti. I biglietti accanto ai cartoni lo testimoniano: «Mi mancherai tanto. Eri una bella persona e un lettore infaticabile, con amicizia Federica». «Mi mancherai, un abbraccio Flaminia».
In molti si sono occupati del terrore letto negli occhi di Lilla: le verrà risparmiato l’orrore e l’abbandono del canile, verrà probabilmente adottata subito da una signora che lavora in via Po. Domani, mercoledì, alle 19 ci sarà un ricordo di Nereo nella chiesa di Santa Teresa, in corso d’Italia al numero 37.