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 2019  gennaio 08 Martedì calendario

Il bignami su Freddie Mercury

Un pomeriggio di qualche inverno fa entrai in un bar piuttosto affollato e vidi un tizio che mi sembrò, a un primo momento, rassomigliare moltissimo a Leonardo da Vinci, non fosse stato per i vestiti contemporanei, per l’accento tutt’altro che di Vinci, per l’aspetto completamente diverso, e per il fatto che in generale non somigliava in nulla a Leonardo da Vinci. Me ne sono ricordato quando ho visto Bohemian Rhapsody, il film sui Queen e il loro leader Freddie Mercury, premiato come il migliore dai tizi del Golden Globe. Ebbene, mi son detto, questo film somiglierebbe invero a un gran film, se non fosse per il fatto che la sceneggiatura non è un granché, i personaggi non sono un granché, certe sequenze non sono granché e in generale il film non è un granché. Eppure ha stregato il pubblico e convinto i premiatori dei Globe a preferirlo a un altro musicarello, A Star Is Born, con la ben più convincente Lady Gaga. Ci deve essere una spiegazione da qualche parte e forse è pure semplice da trovare. C’entrano quei due furboni di Brian May e Roger Taylor, chitarrista-astrofisico e batterista-dentista dei Queen. Proprietari dell’eredità del gruppo, produttori del film, hanno dato una nuova forma alla vecchia banalità secondo la quale la Storia la scrivono i vincitori: in questo caso la storia l’ha scritta chi è rimasto vivo (loro due: Freddie si è fuso con l’infinito nel 1991 e John Deacon, il bassista-ingegnere elettronico, ha lasciato che le sue tracce si perdessero). Così il genio barocco e spiazzante di Freddie è stato reso più rassicurante e accettabile per grandi e piccini, la sua strabordante personalità è stata umiliata in una visione un po’ così, secondo la quale Freddie senza gli altri tre non valeva poi tanto e la sua vera forza era nel gruppo (col cavolo, senza Freddie i gregari dei Queen avrebbero fatto altro nella vita e il Live Aid lo avrebbero visto in tv - a patto di avere i soldi per comprarsene una, altrimenti al pub). Questo un po’ avvicina Mercury ai mortali, lo popolarizza ancor di più aprendogli la strada ai premi che in vita erano un po’ mancati, ma certo non restituiscono la complessità del personaggio e la tragedia della sua malattia (complessità e dolore che invece ci sono a secchiate nel film con Lady Gaga e Bradley Cooper). Per chi avesse avuto la fortuna (o persino l’intelligenza) di vedere il meraviglioso Love & Mercy, film biografico su Brian Wilson, fondatore dei Beach Boys, questo discorso sarebbe molto chiaro sin da subito: in Bohemian Rhapsody manca tutto quello che in Love & Mercy c’è (è anche vero che Freddie Mercury non è Brian Wilson, ma ora piantiamola di fare i precisini). Però c’è un però: Bohemian Rhapsody è un riassunto fatto bene di una storia piuttosto divertente, incredibilmente poco conosciuta dai giovani e da chi 30-40 anni fa faceva altro che non fosse ammazzarsi di rock and roll. Gli ultimi 15 minuti di film ricostruiscono (ahimè scimmiottano) l’esibizione dei Queen a Wembley per il Live Aid. Il che è un gran finale per un film, la gente si emoziona, esce dal cinema cantando, punta al cielo microfoni e chitarre immaginarie (i più arditi incrociano mani destre e sinistre per riprodurre l’intro della canzone che dà il titolo al film, poi qualche familiare benevolo li porta via prima che altri se ne accorgano). Poco importa che a chi ricorda il Freddie vero su quel palco quelle immagini facciano un poco orrore (non tanto, ma un poco sì). Quelli dei Golden Globe si emozionano anche loro e premiano. E buonanotte ai tormenti di Lady Gaga e alla tragica storia di Farrokh Bulsara, che osò sfidare gli dèi e farsi uno di loro, fino a prenderne il nome. Attirandosene, inevitabilmente, la vendetta.