La Stampa, 8 gennaio 2019
I cinesi nel porto di Haifa
C’è anche un risvolto cinese nella visita del consigliere alla Sicurezza americano John Bolton in Israele. Bolton, che ieri ha toccato la seconda tappa del suo viaggio, in Turchia, è arrivato domenica soprattutto per parlare del ritiro dalla Siria, e rassicurare lo Stato ebraico che teme di ritrovarsi i Pasdaran iraniani alla porte. Ma il falco della politica estera statunitense aveva la sua lista di preoccupazioni e richieste. E riguardavano la penetrazione cinese. Il punto centrale è il mega contratto che lo Shanghai International Port Group ha strappato l’anno scorso per costruire un nuovo terminal nel porto di Haifa, a Nord di quello attuale. Un investimento miliardario frutto di incontri bilaterali ai massimi livelli fra il premier Benjamin Netanyahu e il presidente Xi Jinping, che connetterà la costa israeliana alla nuova Via della Seta cinese.
Il porto di Haifa è però anche un asset militare, decisivo per il controllo del Mediterraneo orientale. Ad Haifa sostano spesso navi della Marina statunitense e i cinesi potrebbero ottenere un vantaggio strategico, la possibilità di spiare le loro mosse, con la gestione dello scalo commerciale. Una prospettiva che non piace all’Amministrazione Trump. Come non piace la prospettiva di introduzione di tecnologie cinesi nelle telecomunicazioni, in particolare del sistema 5G sviluppato dal gigante della telefonia Huawei e dalla Zte. Anche start-up israeliane ci stanno lavorando, in collaborazione con Intel, ma i cinesi sono più avanti e potrebbero offrirsi di realizzare la rete di antenne sofisticate necessaria all’Internet mobile superveloce, come hanno fatto in altri Paesi, anche europei.
Il confine fra telecomunicazioni, spionaggio, operazioni di Intelligence e militari è però molto sottile. Per questo la presenza cinese inquieta gli americani. Le pressioni sono cominciate lo scorso autunno. A novembre c’è stato un incontro fra funzionari della casa Bianca e del governo israeliano sul coinvolgimento dei cinesi nelle infrastrutture. Con un messaggio che il giornalista Barak Ravid, in contatto con fonti riservate, ha riassunto così: «O con noi o con loro». Tanto che ora molte aziende israeliane raccomandano ai loro dipendenti di non comprare smartphone cinesi, specie della Huawei. Le forze armate hanno addirittura imposto l’uso esclusivo di iPhone ai loro ufficiali e avviato un programma per verificare tutti i contratti e forniture di materiale elettronico, per escludere la presenza di componenti cinesi.
È il prezzo da pagare per l’alleanza con gli Stati Uniti, che forniscono aiuti militari per 3,8 miliardi di dollari all’anno. Un appoggio mai messo in discussione ed enfatizzato da Donald Trump. I rapporti, idilliaci, sono stati un po’ scossi dall’annuncio del prossimo ritiro delle forze statunitensi dalla Siria. Era il tema più spinoso sul tavolo con Bolton, anche se gli apparati di sicurezza lo avevano già messo in conto nei mesi scorsi. L’Intelligence considerava «intenibile» la posizione americana sul fronte siriano. Netanyahu ne ha approfittato per chiedere uno «scambio» e cioè il riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan, conquistato nel 1967 e annesso il 15 dicembre del 1981. La condizione «minima» per la sicurezza di Israele, perché le Alture, ha puntualizzato il premier nell’incontro, «sono tremendamente importanti». Sarebbe però una svolta clamorosa nella politica americana degli ultimi 40 anni. L’altra richiesta è di mantenere una presenza militare al valico di Al-Tanf, fra Iraq e Siria, per ostacolare «l’autostrada sciita» usata dai Pasdaran.