Libero, 8 gennaio 2019
Nessuno vuole Balotelli
Quelli del Nizza lo vorrebbero vendere per un milione e mezzo di euro, con il Marsiglia sembrava già fatta, poi ieri ha cominciato a girare che Mario Balotelli sarebbe sulla via di casa, cioè in Serie A: al Genoa, alla Sampdoria, al Bologna, al Parma, mah. Il problema, con il Balo, è che mantenerlo costa: quattro milioni di euro, ed è un bell’incaglio, perché nessuna squadra di medio livello può sostenere quella cifra, e nessuna squadra di fascia alta vuole più investire su uno che, a 28 anni, poteva avere già vinto tutto e invece ha dimostrato pochino. In questa stagione, al Nizza, finora ha collezionato dieci presenze e nessun gol. Dieci anni fa, questo ragazzotto col fisico da guerriero ashanti – così lo definisce Federico Buffa – veniva salutato come il nuovo eroe del pallone italiano. Le aveva tutte: la simpatia di un forte accento da bar della bassa bresciana sotto una pelle che più nera (e sudata) non si può, fortissimo con piedi e fronte (del resto della testa ne parliamo dopo), capace di tirare degli scaldabagno da fuori area che solo lui; ma ugualmente ingenuo e spaventosamente cialtrone, svagato, indolente, ribelle a non si sa che cosa e senza un perché, troppo confidente che il talento potesse sconfiggere la, chiamiamola così, sregolatezza. Supermario, appena maggiorenne, venuto su tra l’oratorio e la vita di provincia di Concesio, ha vissuto diviso fra idolatria e contestazione, tutte e due esagerate (come d’altra parte è anche lui): da una parte lo stipendio dell’Inter, un milione e 300mila euro a stagione, dall’altra il cesto di banane che gli tirarono addosso da una moto in corsa (era il 2009). Ma Balotelli ci piaceva da pazzi proprio per questo: e per un po’ è sembrato che il calcio italiano avesse trovato il suo roveto ardente, che brucia senza consumarsi mai. Carnefice, soprattuto di se stesso, quando mandava in vacca le partite per un cartellino rosso preso un minuto dopo le suppliche del suo tecnico (chiedete ad Allegri o a Mourinho); e vittima quando gli arrivavano gli insulti razzisti o si raccontava della sua infanzia (l’abbandono dei genitori biologici, i servizi sociali, l’affido, la famiglia adottiva). «L’esistenza», scriveva il francese Louis-Ferdinand Celine, «è una cosa che vi torce e vi rovina la faccia»: sul Balo vale per il talento, che è come un parassita, essere vivente che dipende da un altro essere vivente, l’ospite, e al quale finisce con il nuocergli, consumarlo. Alcuni di questi parassiti vivono all’esterno dell’ospite, altri all’interno, stanno nel sangue, negli organi vitali, e alcuni riducono gli animali di cui si impossessano a degli zombie, letteralmente. Un fungo tropicale prende le formiche e le induce ad arrampicarsi in alto, da dove le spore possono diffondersi meglio. Il non domato, maleducato talento del Balo, quello dei piedi, ha fatto come il fungo della formica: si è diffuso verso l’alto fino a dominargli la testa, un conflitto che da anni lo divora da dentro. Il primo a bacchettare Mario fu, nel 2009, un desolato Pierluigi Casiraghi, commissario tecnico dell’Under 21, quando il centravanti lasciò la squadra in dieci: «Se continua così non diventerà un campione» (ma disse anche: «Credetemi, non è matto. Io ho giocato con Paul Gascoigne», il grande centrocampista dell’Inghilterra e della Lazio, un’intera carriera di doti senza uguali e una disperazione sconfinata). L’unico che l’ha sempre amato è Roberto Mancini, che l’ha richiamato in Nazionale lo scorso anno, con il rischio di prendersi le colpe, e ancora oggi non gli chiuderebbe la porta in faccia («Deve tornare a giocare e tornare a farlo come sa», dichiarò alle telecamere). Perché, quindi, non ha ancora una casa, questo bresciano arrivato alla maturità e che stavolta potrebbe davvero avere la mano vincente? Lo aiuterebbe una cosa che non ha mai avuto, l’umiltà, accettare qualche euro di meno e ripartire da una squadra un po’ “meno”. Gente come Baggio, Signori (leggi: Bologna, a proposito) ci ha costruito una carriera in più, Buffon seguì la Juve in serie B mentre altri scappavano. Ma questo è un altro talento, anzi, ben altro talento.