L’Economia, 7 gennaio 2019
Quanto valgono le aziende partecipate dal Tesoro? Tanto, ma sono congelati
Ventidue miliardi. Tanto valgono oggi in Borsa, per il Tesoro, le sette aziende partecipate dal ministero dell’Economia: Enel, Eni, Poste, Leonardo, StMicroelctronics, Monte dei Paschi, Enav. Cedere all’istante il pacchetto alla Cassa depositi e prestiti, che dal Tesoro è controllata (l’Mps ancora convalescente magari no, servirebbe tra l’altro l’autorizzazione di Banca d’Italia e Bce) è per il governo la via più veloce e ipoteticamente l’unica per raggiungere l’obiettivo gigante dei 19 miliardi di privatizzazioni (uno dall’immobiliare) promesso a Bruxelles, pilastro della Legge di bilancio 2019. Ma è una missione impossibile. E il tema non risulta per ora sul tavolo della Cdp di Alessandro Tononi e Fabrizio Palermo, mentre l’ordine del giorno del consiglio del 31 gennaio è ancora in definizione. L’unica cessione a Cdp che si starebbe valutando è quella del portafoglio immobiliare di Invimit che vale appunto un miliardo.
Fra le sette sorelle nel forziere di Stato la più preziosa è l’Enel: vale 12 miliardi il 23,58% del Tesoro (capitalizzazione al 3 gennaio). Seguono Poste con 2,6 miliardi (29,26%), l’Eni con 2,2 (4,34%), St con 1,53 (14,12%), Leonardo con 1,32 (30,2%), Mps con 1,16 (68,25%) e l’Enav con 1,1 (53,28%).
Poste, Enav e soprattutto Enel hanno guadagnato in Borsa negli ultimi tre mesi. Ma St da ottobre ha bruciato due miliardi e mezzo, Leonardo quasi mezzo miliardo, l’Eni 400 milioni, Mps 300 milioni.
«Non c’è la minima possibilità di realizzare 19 miliardi in un anno con le cessioni tradizionali – dice Bernardo Bortolotti, fondatore del Barometro privatizzazioni e ordinario di Economia politica a Torino –. Se si trasferisce il portafoglio più pregiato del Tesoro a prezzi di mercato a Cassa si possono realizzare cifre importanti, ma non chiamatele privatizzazioni: è una partita di giro». Tre gli ostacoli, comunque. Uno, le Fondazioni bancarie azioniste di Cassa dovrebbero autorizzare un esborso miliardario non per lo sviluppo del Paese, ma per la riduzione del debito pubblico. Due, l’Eurostat può classificare l’operazione come pubblica e la Cdp può perdere lo status di società privata. Tre, il Tesoro cederebbe il comando diretto di più società strategiche (e un miliardo all’anno di dividendi passerebbero a Cdp). Inoltre «trasferire queste aziende a Cassa è come fare una patrimoniale senza dirlo perché si usa il denaro dei contribuenti (il risparmio postale è in Cdp, ndr.) – dice Stefano Caselli, prorettore dell’Università Bocconi —. E si rischia di svendere: la Borsa è in calo e i tassi salgono».
L’alternativa? Privatizzare davvero Ferrovie, che ha 38 miliardi di patrimonio. Per il suo debutto in Borsa era già tutto pronto, andrebbe rimessa in moto la macchina e risolto il nodo Anas. E se invece si quotasse proprio la Cdp che vale 30 miliardi? «Non esiste», dice una fonte di governo.