Libero, 7 gennaio 2019
Elena Sofia Ricci: «A 12 anni un uomo abusò di me»
Elena Sofia Ricci è una di quelle donne che chiama le cose con il proprio nome: non ci gira intorno, ma va dritta al punto. Anche quando fa male. Anche quando sa di poter suscitare scalpore. Si definisce una donna progressista – e lo è –, sa di essere reduce da un anno a doppia velocità (stupendo dal punto di vista professionale, doloroso a livello personale, per la morte della madre e dell’amico Ennio Fantastichini) e di averne di fronte almeno altri tre pieni di impegni. Dal 10 gennaio torna in tv, nei panni di Suor Angela in Che Dio ci aiuti 5: un personaggio dal quale lei, all’inizio, avrebbe voluto volentieri congedarsi. Effettivamente quello della suora è un ruolo poco intrigante rispetto allo stuolo di nuove eroine che ormai popolano la tv. «In realtà trovo che Suor Angela sia un personaggio particolarmente progressista e controcorrente, in quanto fervente cristiana. La figura di Cristo e il suo messaggio sono infatti rivoluzionari, oggi come allora: trovo che parlare di perdono o di compassione, in un’era come la nostra, sia molto forte». Dunque, perché lasciare?
«Temevo di annoiarmi: suor Angela è sempre stata una sorta di wonder woman che sistemava tutto, ma non aveva un vero arco evolutivo. Poi però, durante la quarta serie, mi è venuta un’idea folgorante: e se suor Angela mostrasse il suo lato più fragile e umano? La fede può vacillare in tutti, persino nei consacrati».
Non sarà una svolta azzardata?
«All’inizio temevo che la crisi di Suor Angela potesse risultare poco gradita ai consacrati invece, quando ho chiamato la mia amica Suor Benedetta (nonché consulente della serie), il suo commento è stato: “Ecco, così sì che il personaggio diventerebbe proprio vero!”».
A proposito di immaginari stravolti, in Loro di Sorrentino avete dato voce a una immagine femminile molto diversa da quella sponsorizzata dal #metoo. Lei dove si schiera?
«È un argomento delicato e complesso ma, ora che mia mamma è venuta a mancare, posso parlare con libertà: a 12 anni sono stata abusata. Non l’ho mai dichiarato prima perché purtroppo è stata mia madre a consegnarmi inconsapevolmente nelle mani del mio carnefice, mandandomi in vacanza con un amico di famiglia. Certo, nel mio caso si tratta di pedofilia, ma un abuso resta un abuso e nessun uomo ha il diritto di esercitare il proprio potere per violentare una donna, adulta o minorenne».
Non ha mai cercato giustizia?
«Quell’uomo è stato poi arrestato: altri l’hanno denunciato, perché non ero l’unica vittima. Purtroppo i casi come il mio sono molti e non tutte riescono a uscirne. Io stessa non ne sono ancora fuori del tutto: è come avere un imprinting, che non ti scegli ma ti ritrovi addosso. Tornando al #metoo, quando una bambina che diventa ragazza è fragile può arrivare a pensare di non meritarsi nulla e che deve vendersi. Non è sempre facile dire di no. Poi, certo, come mostra Sorrentino esiste anche un esercito di donne con il pelo sullo stomaco, pronte a vendersi. Ma la sostanza non cambia: nessun uomo ha il diritto di usare il proprio potere per abusare di una donna, fragile o furba che sia».
Crede che aver mostrato l’altra faccia della medaglia, ossia le donne con il pelo sullo stomaco, abbia penalizzato il film?
«Può essere».
E la scelta di uscire nelle sale in due capitoli?
«Non sono valutazioni che spettano a me. Posso solo dire che mio marito, che ha amato alla follia il film, l’ha visto tutto di seguito».
Parlando di politica, come valuta l’attuale situazione?
«Non bene. Il sistema democratico è entrato in crisi quindi dovremmo interrogarci su cosa possiamo fare meglio. È sbagliato dare la colpa solo a chi ci governa: Berlusconi non è salito al potere con un colpo di stato e lo stesso vale per Salvini o Di Maio».
La fede le è stata di sostegno in questi mesi difficili?
«Sapevo che mia mamma non avrebbe avuto una lunga vecchiaia e la fede mi ha aiutato ad affrontare la sua malattia e il lutto. Non vuol dire però che sono arrivata preparata alla sua scomparsa: nessuno può esserlo».