Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2019
Abbandoni scolastici in aumento e bocciature in calo
Che si tratti di scuola o di università il risultato non cambia. L’Italia dell’istruzione – che si barcamena tra open day, piani dell’offerta formativa più o meno prolissi e App di ultima generazione – era e resta “disorientata”. L’ultima conferma l’ha fornita l’Istat poco prima di Natale. Sfornando un numero che, complici le festività alle porte e la bagarre parlamentare in atto sulla manovra, è rimasto sotto traccia. Dopo sette anni di calo ininterrotto l’abbandono scolastico, da noi, è ritornato a salire. Seppur di poco: dal 13,8% del 2016 è passato al 14% del 2017. Un aumento che un Paese terzultimo in Europa per disoccupazione giovanile e penultimo per laureati nella fascia d’età 30-34 anni non può permettersi di sottovalutare. E che va tenuto ancora più presente nel momento in cui si è chiamati a scegliere, come accadrà da oggi al 31 gennaio, la scuola dei propri figli. In particolare se sono in procinto di iniziare l’avventura delle superiori.
Perché se è vero che la fuga anticipata dai banchi rappresenta un caso limite e continua a interessare – come dimostra la cartina qui accanto – soprattutto il Sud e le Isole è altrettanto vero che la sua risalita rappresenta comunque un campanello d’allarme. Sebbene migliore dell’obiettivo che ci siamo dati per la fine del decennio (e cioè il 16% entro il 2020) il 14% di dispersione scolastica, censito da Eurostat e rilanciato dall’Istat, ci assegna la quartultima piazza nell’Ue dietro Malta (17,7%), Romania (18,1%) e Spagna (18,3%). E rischia di rallentare la nostra, lenta, risalita nella quota di popolazione adulta in possesso di un diploma di istruzione superiore. Che ammonta al 60,9% contro il 77,5% vantato dal resto del vecchio continente.
Ponderare bene la scelta delle superiori serve a evitare altri incidenti di percorso che possono capitare nel corso dei cinque anni da trascorrere tra i banchi. A cominciare dalle bocciature. E anche stavolta ci viene in soccorso l’Istat con un’altra pubblicazione recente: l’annuario statistico 2018 che ha visto la luce la settimana scorsa. Nel corposo capitolo dedicato all’istruzione e alla formazione un passaggio è dedicato all’andamento del percorso scolastico. Da cui emerge che, sebbene in diminuzione, gli stop “forzosi” alla fine del primo anno interessino ancora il 13,4% degli alunni di prima. Per poi diminuire negli anni successivi, così da portare la media al 7,9 per cento.
Un altro termometro dell’orientamento non sempre efficace arriva dagli ultimi dati del ministero dell’Istruzione sull’andamento dei debiti formativi. E anche stavolta le notizie non sono buone. Su 1,9 milioni di studenti scrutinati alla fine dell’anno scolastico 2017/2018 oltre 439mila – ma il dato definitivo potrebbe ancora variare (ndr) - hanno portato a casa la cosiddetta «sospensione del giudizio» in almeno una materia. Pari al 22,4 per cento. Laddove 12 mesi prima l’asticella si era fermata a quota 21,8. Un aumento da monitorare con attenzione, anche perché a giugno dovremo fare i conti con l’impatto, tutto da verificare, del nuovo esame di maturità.
Tanto più che il contesto in cui ci muoviamo è quello descritto all’inizio. Affrontare con il passo giusto la tappa intermedia della scuola secondaria di II grado può assicurare una spinta in più sulla salita successiva. Sia che conduca all’università, dato il gap di laureati con i nostri partner continentali che fatichiamo a colmare, sia che porti direttamente al lavoro. Nonostante una disoccupazione giovanile ancora al di sopra del 32%, scegliere un diploma al passo con i tempi e spendibile sul mercato può rivelarsi la scelta vincente. Magari già nel breve periodo.