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 2019  gennaio 07 Lunedì calendario

Biografia di Kim Jong-un

Kim Jong-un, nato a Pyongyang l’8 gennaio 1984 (35 anni). Leader supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord) (dal 17 dicembre 2011) • «La Corea del Nord è l’ultimo residuato della Guerra fredda in Asia: una miccia innescata. Kim Jong-un […] è nipote di Kim Il-sung, fondatore della Repubblica Popolare Democratica della Corea nonché ideatore della "Juche", l’ideologia di Stato basata sull’autorealizzazione. Kim Il-sung, chiamato Suryong (Grande leader), era considerato alla stregua di una divinità. Alla sua morte, nel 1994, toccò al figlio maggiore, Kim Jong-il, allora cinquantaduenne, portare avanti la dinastia. Morto il padre, […] è la volta di Kim Jong-un» (Bill Powell) • Inevitabilmente scarse, indirette e incerte le informazioni biografiche su Kim Jong-un. È oggetto di dibattito anche l’anno di nascita, che alcune fonti retrodatano al 1982 o al 1983. «Kim Jong-un è il terzogenito di Kim Jong-il e il secondo dei figli avuti dalla donna definita sua consorte, Ko Yong-hui, oriunda nordcoreana, nata ad Osaka, in Giappone, e morta per cancro al seno nel 2004. […] Una delle pochissime persone fuori dalla Corea del Nord che abbiano conosciuto personalmente Kim Jong-un da bambino è Kenji Fujimoto. Dietro questo pseudonimo si nasconde il cuoco giapponese che preparava delizie per Kim Jong-il e la sua famiglia anche quando gran parte della popolazione nordcoreana moriva di fame. […] Fujimoto, che ora è rientrato in Giappone, […] si conquistò l’amicizia del piccolo riparandogli l’aquilone. Ben presto si ritrovò a giocare con Kim Jong-un e il fratello maggiore Kim Jong-chul quasi ogni giorno. Lo descrive come un bambino pressoché normale, a parte l’obbligo di indossare l’uniforme e fare il saluto militare al padre. Gli piaceva giocare a basket. Aveva la stoffa del capitano» (Powell). «È molto probabile che i soggiorni in Svizzera del futuro dittatore […] inizino nel 1994. È l’anno della morte di Kim Il-sung, padre-padrone del Paese dalla sua fondazione, nel 1948. Suo figlio Kim Jong-il decide di fornire ai figli un’educazione europea, nella più totale discrezione. Il dodicenne Kim Jong-un frequenta la International School di Berna, istituto imbottito di figli di diplomatici. Bocche cucite alla direzione della scuola: anche vent’anni dopo non si conferma né smentisce» (Roberto Antonini). «Quel bambino è andato a nascondersi lassù sotto falso nome. […] La prima testimone si chiama Ko Yong-suk, sostiene di essere la sorella della mamma dei Kim e in una intervista al Washington Post dice di essere fuggita perché temeva di cadere in disgrazia. […] Ko è arrivata a Berna […] proprio per occuparsi di Kim, allora dodicenne, e del fratello più grande, Kim Jong-chul. Ogni tanto si porta dietro anche Kim Yo-jong, la sorellina, la donna che oggi sovrintende all’immagine del fratellone, vicedirettrice del potentissimo dipartimento della Propaganda. Vive con il marito e i ragazzi al civico 33 di Kirchstrasse, Berna, una viuzza con un paio di pizzerie, il supermarket della Coop e la filiale di una banca: “Abitavamo in una casa normale, facevamo la vita di una famiglia normale”. Dice che Kim giocava già allora con i soldatini, era intrigato dalle macchine: come navigano le navi, come volano gli aeroplani? “Non era una vera peste, ma intemperante e impaziente sì”, racconta ad Anna Fifield. “Se la mamma gli diceva di piantarla con i giochi e studiare di più, sul momento non le ribatteva, però protestava smettendo di mangiare”. È più basso dei suoi compagni, ma è sempre la mamma a dirgli che se gioca a basket diventerà più alto. “Diventa ossessionato: con quella palla va perfino a dormire”. […] Altri scorci dell’infanzia di un capo. Quando la preside della scuola Liebefeld-Steinhölzli lo introduce ai compagni della 6a A, Kim si presenta acconciato come un ragazzino born in the Usa: jeans, scarpe da ginnastica Nike e la maglietta degli amatissimi Chicago Bulls, la squadra di basket dove svetterà il suo futuro amico Rodman. “Questo è Un-pak, viene dalla Corea del Nord – dice la preside –, è il figlio di un diplomatico”. Il ragazzino scivola nel banco accanto a quello di Joao Micaelo, anche lui figlio di un diplomatico, portoghese: “Non eravamo i più asini, ma neppure i più svegli: sempre in seconda fila”. Kim mastica un po’ di inglese e un po’ di tedesco, ma nulla di più. Gli piace la matematica, ma poi si perde anche lì. “Quando doveva risolvere un problema, gli veniva l’agitazione. I professori vedevano che ci provava disperatamente e si vergognava di non farcela: decisero di lasciarlo in pace”. L’avventura in Occidente finisce così: e così finisce anche tutto quel che più o meno sappiamo sui suoi studi, coronati poi dai cinque anni a caccia di laurea trascorsi, fino al 2007, a Pyongyang – dove si suppone non abbia incontrato grosse difficoltà, visto che l’università è intitolata a nonno Kim Il-sung. “Qui in Svizzera, invece, lasciò senza dare neppure un esame. Era più interessato al basket e al pallone che alle lezioni”. L’amico Joao sostiene che anche questo spinse il padre a farlo rientrare in Corea: quel ragazzo introverso, che fino a un paio d’anni prima si chiudeva nella sua cameretta a mettere a tutto volume le canzoni più patriottiche di Pyongyang […] adesso è tutto preso dai giochini tecnologici. “Era circondato dai migliori gadget: tv, videoregistratore, la Playstation della Sony. Guardavamo un sacco di kung fu, soprattutto i film con Jackie Chan”. La passione più grande resta però il basket. “Dopo la scuola ci vedevamo al campetto per fare qualche tiro: pretendevamo tutti e due di essere Michael Jordan”» (Angelo Aquaro). «Al suo ritorno a Pyongyang ritrovò Fujimoto. Lo chef giapponese sarebbe rimasto al suo fianco nelle vesti di tutore non ufficiale fino al compimento del diciottesimo anno di età di Kim, per poi rientrare definitivamente in Giappone. L’interesse di Kim per lo sport non era limitato al basket: aveva imparato anche a pattinare a rotelle e a guidare la moto d’acqua. Non era esattamente "portato per lo studio", dice Fujimoto, ma "amava lo sport". Aveva anche acquisito altre abitudini comuni agli adolescenti privilegiati in tutti i Paesi del mondo. Poco prima di lasciare la Corea del Nord, Fujimoto partecipò ad una festa organizzata da Kim per i suoi amici. Quella sera il ragazzo si attaccò ad una bottiglia di costosissima vodka. […] Per gran parte del decennio successivo la biografia di Kim Jong-un è un foglio bianco: si sa solo che ha frequentato l’accademia militare Kim Il-sung di Pyongyang (argomento della tesi: sistemi di guida per artiglieria)» (Powell). «Nell’estate del 2008, il Caro leader Kim Jong-il viene colpito da un infarto, che apre la delicata successione all’interno della leadership nordcoreana. […] Quando, scartate le ipotesi dei due figli maggiori (considerati per ragioni diverse incapaci di raccogliere il bastone del comando), la scelta ricadde sul giovane terzogenito Kim Jong-un, i problemi relativi alla transizione cominciarono a farsi estremamente seri. La giovane età e la scarsa esperienza politica di Jong-un spinsero Kim Jong-il a riportare in auge gli apparati di partito, resi marginali dalla metà degli anni Novanta, al fine di creare un quadro istituzionale che consentisse un legittimo trasferimento di potere. Circondando Kim Jong-un di figure potenti e leali all’interno del partito, Kim Jong-il intendeva consentire al figlio di uscire indenne dalla transizione, almeno nel breve periodo. […] Il 19 dicembre 2011 l’agenzia di stampa Kcna rivelò che il Caro leader era deceduto due giorni prima a causa degli enormi “sforzi fisici e mentali” sopportati nella gestione del Paese. L’annunciatrice televisiva che, in lacrime, dette la notizia esortò la popolazione nordcoreana a stringersi attorno al figlio più giovane del defunto leader, Kim Jong-un, che ne avrebbe raccolto l’eredità. Con la scomparsa del Caro leader, tuttavia, e in mancanza di chiare indicazioni istituzionali che guidassero la transizione, i timori legati alla possibilità che Kim Jong-un non fosse in grado di consolidare la propria leadership emersero chiaramente. Dopo essere stato indicato come “Grande successore”, il neoleader assunse in breve tempo il titolo di leader supremo e quello di comandante supremo delle Forze armate. La velocità di questo processo implicava, con molta probabilità, il desiderio del regime di fugare qualsivoglia dubbio sulla legittimità della successione. […] Nei mesi successivi, la struttura di potere attorno a Kim Jong-un assunse contorni più definiti. Al contempo, cominciarono a moltiplicarsi le voci secondo le quali già nel 2008, in coincidenza con l’emergere dei suoi gravi problemi di salute, Kim Jong-il avesse dato chiare direttive riguardo alla composizione della futura leadership. Stando a queste voci, il Caro leader avrebbe avuto un incontro con la sorella, Kim Kyong-hui, e il marito di questa, Jang Sung-taek, per discutere i dettagli della successione. Ai due Kim Jong-il avrebbe chiesto di assistere il futuro leader nel processo di decision-making e di insegnargli i rudimenti della gestione politica. Questa responsabilità si esplicitò in un avanzamento istituzionale dei due: Kim Kyong-hui, principale confidente e probabilmente l’unica ad avere accesso diretto al nuovo leader, venne nominata segretario del partito per l’industria leggera, mentre Jang, numero due del regime, divenne membro permanente del Politbjuro. Egli aveva anche la possibilità di interagire con i vari “gruppi di pressione”, discutendo le diverse opzioni prima che Kim prendesse la decisione finale. Ai due si affiancò ben presto Choe Ryong-hae, il cui ruolo sarebbe stato di garantire la fedeltà delle Forze armate al nuovo leader. […] Con l’arrivo di Kim Jong-un […] la leadership militare cominciò a essere messa sotto attacco e a perdere influenza. […] La sua centralità nelle dinamiche del regime cominciò a essere sostituita dal partito. […] Una delle indicazioni più nette del declino dell’influenza militare è stata la consuetudine di Kim Jong-un di liberarsi di quanti occupavano i ranghi più alti nelle Forze armate e avevano tradizionalmente ricoperto un ruolo politico di influenza nel regime, favorendo invece chi mancava dell’influenza necessaria per fare pressione sui circoli di potere intorno al leader supremo. […] Jang Sung-taek aveva cominciato ad assumere una fortissima rilevanza all’interno del regime alla metà degli anni Duemila, quando, oltre a occuparsi della gestione dell’apparato di sicurezza interno, aveva cominciato a ricoprire un ruolo fondamentale nelle relazioni del regime nordcoreano con la Repubblica Popolare Cinese» (Antonio Fiori). Nel dicembre 2013, la rimozione politica e l’eliminazione fisica di Jang Sung-taek, giustiziato in quanto colpevole di azioni «controrivoluzionarie e faziose» (per aver effettivamente cercato di costruirsi un potere personale attraverso un rapporto diretto con le autorità cinesi, tradendo la fiducia del nipote e della moglie), «cristallizzò la leadership dando origine a un periodo di stabilità, visto che gli alleati di Jang furono prontamente neutralizzati o cooptati. Kim Jong-un usciva da questa vicenda assai rafforzato: lungi dall’essere un attore passivo, o peggio una marionetta, egli si confermava un attore di assoluta centralità e saldamente in sella. La rimozione di Jang ha avuto anche conseguenze di tipo organizzativo, dato che la sua scomparsa ha creato uno spazio all’interno del regime che è stato prontamente riempito da Kim Jong-un e dall’apparato di partito. Il risultato è stato la creazione di una più salda linea di comando e controllo e un’accresciuta capacità del leader di porre l’intero regime sotto scrutinio. […] La reggenza si è dissolta, lasciando che Kim accentrasse il controllo nelle sue mani e si circondasse di un gruppo di consiglieri semisconosciuti e provenienti dai livelli più bassi. La struttura di reggenza, che probabilmente forniva al leader suggerimenti critici, è stata rimpiazzata da una cerchia più debole e sicuramente più restia alle critiche. […] Una nuova generazione della famiglia Kim ha cominciato a fare la sua apparizione, guidata da Kim Yo-jong, sorella minore di Kim Jong-un. […] Comunque, malgrado Kim Jong-un si sia dimostrato capace di affermarsi, la politica del pyongjin – cioè la volontà di portare avanti contemporaneamente le riforme economiche e il programma nucleare – ha contribuito a isolare il regime: l’esatto contrario dell’obiettivo originario. […] Come conseguenza di tutto ciò, Kim Jong-un ha accantonato l’approccio cauto a favore di una rinnovata e aggressiva politica del rischio calcolato. Dopo un discorso d’inizio anno in cui venivano sottolineati i progressi economici e i passi avanti nel dialogo intercoreano, il 6 gennaio 2016 il regime rese due dichiarazioni in cui annunciava di aver testato la sua prima bomba all’idrogeno, a seguito di un preciso ordine da parte di Kim Jong-un. […] Il settimo congresso del partito si è svolto a Pyongyang tra il 6 e il 9 maggio 2016, dopo ben trentasei anni dal precedente. Si è trattato di una consacrazione simbolica per Kim Jong-un, al quale è stato conferito il titolo di presidente del Partito coreano dei lavoratori, carica in passato detenuta dal nonno. […] Degno di nota […] il fatto che la sorella minore del leader, Kim Yo-jong, abbia fatto il suo ingresso nel Comitato centrale» (Fiori). Seguì, per tutto il 2016 e il 2017, una prova muscolare da parte di Kim Jong-un nei confronti dei suoi nemici internazionali – dalla Corea del Sud al Giappone agli Stati Uniti –, con un crescendo di test missilistici e atomici sempre più frequenti e minacciosi, censurati dalle Nazioni unite con l’imposizione di numerose sanzioni economiche nei confronti della Corea del Nord, alle quali finì per adeguarsi – sebbene non strettamente – anche la Cina, mostrando crescente insofferenza verso lo storico alleato. Quindi, dopo aver mostrato al mondo la potenza del proprio arsenale missilistico e nucleare, capace di colpire persino il territorio statunitense, e dopo essersi più volte scambiato insulti e minacce di guerra con il presidente statunitense Donald Trump, nel 2018 Kim Jong-un rivelò il proprio disegno strategico, aprendo improvvisamente a una politica di distensione. Se in febbraio fu la sorella e fidata consigliera Kim Yo-jong a partecipare inaspettatamente alla cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici in Corea del Sud e a stringere la mano al presidente sudcoreano Moon Jae-in, il 27 aprile, un mese dopo essersi recato per la prima volta a Pechino per un colloquio con il presidente cinese Xi Jinping (26 marzo), fu Kim Jong-un in persona a incontrare Moon Jae-in, in uno storico vertice intercoreano. «Non era il primo incontro tra il presidente del Sud e il leader del Nord – due i precedenti, nel 2000 e nel 2007 –, ma per la prima volta quest’ultimo ha varcato il confine che separa le due Coree e ha messo piede in territorio sudcoreano. […] I due leader che attraversano il confine intercoreano tenendosi per mano e sorridendo costituiscono un’immagine di portata storica e un simbolo di riconciliazione fortissimo per la popolazione di entrambi i Paesi. […] Se da un lato simboli e immagini sono stati di grande importanza, a livello politico-diplomatico non ci sono state sorprese. Al termine dell’incontro i due leader hanno presentato una dichiarazione congiunta, così come era avvenuto nel 2000 e nel 2007, improntata a ribadire i princìpi cardine del processo di riconciliazione intercoreana e riprendendo i temi presenti all’interno dell’agenda del summit: pace, cooperazione fra le due Coree e denuclearizzazione della penisola» (Marco Milani). Ancora più sorprendente il vertice avvenuto il 12 giugno successivo sull’isola di Sentosa (Singapore) tra Kim Jong-un e Trump. «A leggere il comunicato e a sentire la conferenza stampa di Donald Trump, chi dei due può ritenersi più soddisfatto è Kim Jong-un. Come prevedibile, le grandi questioni geopolitiche riguardanti la penisola coreana non sono state risolte durante il vertice bilaterale: malgrado i cenni a passi in avanti sui due dossier, non si menziona un trattato di pace che termini ufficialmente la Guerra di Corea e non vengono stabilite relazioni diplomatiche ufficiali tra Pyongyang e Washington. È sul tema dell’arsenale atomico di Kim che gli Stati Uniti fanno le concessioni maggiori. Trump si impegna a “fornire delle garanzie di sicurezza” alla Corea del Nord, e in cambio ottiene solo la conferma del “fermo e incrollabile impegno” del leader nordcoreano alla “denuclearizzazione completa” della Penisola coreana. Quello che non è stato scritto nel testo è che la rinuncia alla bomba secondo Pyongyang non può essere unilaterale, ma va accompagnata dal ritiro dell’ombrello nucleare statunitense a protezione di Seul (e di Tokyo). La sospensione delle esercitazioni militari tra Usa e Corea del Sud (“costosi giochi di guerra”) e l’accenno all’eventuale riduzione del contingente a stelle e strisce a sud del 38° Parallelo – due argomenti toccati da Trump nella seconda conferenza stampa più lunga da quando è presidente – vanno incontro ai desiderata di Kim, oltre che della Cina. […] Nel giro di pochi mesi, Kim è passato dal rischiare di subire un attacco Usa al costringere Trump a fargli delle promesse. Al solo prezzo di interrompere i test nucleari e missilistici, dopo aver comunque raggiunto lo status di potenza atomica – “il loro arsenale nucleare è considerevole”, ha riconosciuto lo stesso Trump in conferenza stampa» (Niccolò Locatelli). «Quanto al cartellino di Trump, l’unico ma importante punto a suo favore non riguarda tanto Kim quanto Xi Jinping. Gli americani sanno che i nordcoreani temono i cinesi più di loro, e quindi stanno provandole tutte pur di sottrarli all’orbita di Pechino. Il fatto che il formato negoziale sia per ora a due e non a tre, Cina compresa, è rilevante. Soprattutto considerando che il vero avversario di Washington non è Pyongyang, ma Pechino» (Lucio Caracciolo). In seguito, se i rapporti con la Corea del Sud si sono andati ulteriormente distendendo – tanto che dal 18 al 20 settembre 2018 Kim Jong-un ha ospitato Moon Jae-in a Pyongyang, ottenendo concreti vantaggi economici in cambio di vaghi propositi di pace e di denuclearizzazione –, quelli con gli Stati Uniti, nonostante il dichiarato «innamoramento» di Trump nei confronti del leader nordocreano, sono di fatto giunti a una fase di stallo. Pertanto, dopo aver annunciato in novembre la messa a punto di un «nuovo sistema d’arma ultramoderno che costituisce un’inattaccabile difesa per il nostro Paese», il 1° gennaio 2019, nel tradizionale discorso di Capodanno, Kim Jong-un ha chiarito la propria posizione. «Kim Jong-un è tornato in scena con un discorso di inizio anno nel quale si è detto pronto a incontrare ancora Donald Trump “in ogni momento”, ma ha anche ammonito che, se gli Stati Uniti insisteranno con le sanzioni, Pyongyang “sarà costretta a cambiare di nuovo linea”, tornando alla sfida nucleare. Fin qui nulla di sorprendente. […] Però ieri Kim ha lanciato un’offerta che potrebbe portare a una soluzione di compromesso: “Non produrremo più armi nucleari, non le useremo e non le diffonderemo nel mondo”. La proposta di accettare un tetto all’arsenale e di congelare il programma è nuova: il Maresciallo non ne aveva parlato nel faccia a faccia con Trump a Singapore. La promessa di non proliferazione è un aspetto importante, perché in passato la Nord Corea ha ceduto tecnologia a Paesi come la Siria. Congelamento e non proliferazione, in cambio di fine delle sanzioni: è questa l’idea di Kim. Ai sudcoreani Kim ha chiesto di rafforzare la cooperazione, prospettando la riapertura del complesso industriale congiunto di Kaesong, poco a nord del 38° Parallelo. In cambio ha promesso di visitare Seul» (Guido Santevecchi) • Sposato con l’ex cantante Ri Sol-ju. Ignoto il numero dei figli; l’ex cestista statunitense Dennis Rodman, intimo amico di Kim Jong-un, ha detto di aver conosciuto una loro figlia piccola, chiamata Kim Ju-ae • Assai ricca, ma quasi mai verificabile, l’aneddotica intorno alle sue bizzarrie, dall’imposizione del suo particolare taglio di capelli a tutti gli studenti nordcoreani ai modi particolarmente cruenti con cui sarebbero stati giustiziati lo zio Jang Sung-taek (secondo alcuni, dato in pasto a un branco di cani affamati) e altri familiari, funzionari o personaggi di vario tipo (tra i mezzi più citati per compiere le esecuzioni, lanciafiamme e cannoni) • Ignote anche le effettive circostanze della morte del fratellastro Kim Jong-nam (che, inizialmente designato dal padre quale successore, era stato arrestato in Giappone nel 2001 mentre cercava di andare a Disneyland con un passaporto falso, e quindi allontanato dalla famiglia), ucciso da due donne con un agente nervino all’aeroporto di Kuala Lumpur nel febbraio 2017 • «Il suo sogno è arrivare a New York. […] L’obiettivo è il Madison Square Garden: vuole andare a vedere – confessa al suo amico Dennis Rodman, l’ex re della pallacanestro – gli amatissimi Knicks del basket» (Aquaro) • «Sembra che abbia riconquistato una certa popolarità, dopo il regime del padre contraddistinto da una grave carestia, e abbia allentato il controllo dello Stato sull’economia, dando una spinta per una certa crescita, promuovendo un forte sviluppo edilizio nella capitale e un maggiore accesso a cibo e beni. Ma […] il peso delle sanzioni internazionali si fa sentire. […] Gli piace dipingersi come un uomo del popolo, facendosi ritrarre in mezzo ai soldati, in visita ai lavoratori a casa o mentre culla neonati all’ospedale, a volte accompagnato dalla moglie. L’uomo cui fa riferimento sembra essere più il nonno, Kim Il-sung, al potere dal 1948 fino al 1994, che il padre. […] Per Andrei Lankov, esperto sulla Nord Corea alla Kookmin University a Seul, Kim Jong-un è "intelligente, pragmatico e risoluto. Ma anche capriccioso, lunatico e pronto a uccidere facilmente"» (Cecilia Scaldaferri). «La macchina del consenso in patria non è molto cambiata rispetto ai tempi del padre. Il marxismo-leninismo superato dal credo militarista, autarchico, ultranazionalista del Juche. Culto della personalità all’ennesima potenza con concessioni glamour: una first lady elegante e con borsette griffate mostrata con parsimonia, band nostrane e straniere celebrate a Pyongyang, inaugurazioni di impianti sciistici. Il segreto che permea le attività reali del “Brillante leader” e i meccanismi del potere, tuttavia, resta totale. E il mistero è una specialità della casa, che obbliga così gli osservatori esterni a decifrare i simbolismi occulti di ispezioni a fabbriche o a unità militari. Che poi la Corea del Nord abbia decine o centinaia di migliaia di detenuti in un sistema di campi di detenzione e di lavoro, che stia in fondo alle classifiche mondiali del rispetto dei diritti umani, è questione che attiene al secondo palcoscenico sul quale si muove Kim, quello globale. Tutto falso, giurano gli ambasciatori di Pyongyang. […] Kim, come il nonno e il padre, racconta al suo popolo di un mondo ostile di imperialisti che assediano il paradiso del socialismo. Le crisi alimentari ricorrenti, come quella degli anni Novanta (la “strenua marcia”), sono presentate in patria come provocate dall’aggressione capitalista» (Mauro Del Corona) • «Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un non merita il premio Nobel per la pace, ma potrebbe ambire a quello per la strategia migliore. […] Nel giro di pochi mesi, senza fare nessuna reale concessione sull’arma atomica, Kim Jong-un ha ottenuto grandi successi, dal vertice senza precedenti con Donald Trump dello scorso giugno all’appoggio ricevuto dai leader cinesi, passando per l’importante ripresa del dialogo con il fratello-nemico del Sud. Non male, per un giovane che veniva ritenuto nel migliore dei casi inesperto o, nel peggiore, pazzo. Il tutto senza arretrare su niente, perché il dittatore non ha ancora avviato il suo Paese sulla via della denuclearizzazione (se non a parole), e ancora meno su quella che porta alla distruzione del suo arsenale di circa dieci bombe già prodotte. […] Kim sta incassando i dividendi della sua strategia, a cominciare dalla visita dei capi dei principali conglomerati industriali della Corea del Sud, arrivati insieme al loro presidente. Seduto sul suo arsenale nucleare – piccolo ma sufficiente –, Kim vuole dare la priorità allo sviluppo economico del Nord, che pesa appena il 4 per cento rispetto all’economia del Sud. Se Kim riuscirà a conservare le testate nucleari e contemporaneamente ad attirare gli investitori e a mantenere il potere, merita il titolo di genio senza pari che la propaganda nordcoreana gli conferisce quotidianamente» (Pierre Haski).