La Stampa, 7 gennaio 2019
Il decreto sicurezza
La probabile diretta impugnazione da parte di alcune Regioni del cosiddetto decreto legge Salvini origina la necessità di alcune spiegazioni, al fine di cercare di capire in cosa potranno consistere questi ricorsi e quali siano le possibili conseguenze. Anzitutto ricordiamo che il nostro sistema di giustizia costituzionale prevede che ciascuna Regione possa ricorrere direttamente alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione di una nuova legge statale, allorché ritenga che questa legge leda la sua sfera di competenza o – sulla base della giurisprudenza della stessa Corte – quella degli enti locali presenti nel territorio regionale. Da questo punto di vista quindi, almeno in astratto, non vi è alcun problema poiché la legge di conversione è stata pubblicata all’inizio di dicembre. Semmai occorre conoscere quale sia la disposizione o le disposizioni impugnate, dal momento che la Regione deve necessariamente individuare quelle parti del decreto legge convertito che ritenga invasive delle competenze proprie o degli enti locali, mentre il «decreto Salvini» appare estremamente vasto ed eterogeneo (circa sessantacinque articoli di legge, che si occupano di temi assai diversi tra loro).
Pur nel rispetto delle competenze statali in tema di immigrazione, di sicurezza pubblica o di anagrafe, non mancano certo varie disposizioni del decreto che incidono in modo diretto o indiretto sulle competenze regionali in materia di assistenza sociale, di sanità, di edilizia popolare, di scuola o sulle specifiche competenze degli enti locali in questi settori.
In particolare si può ricordare la disposizione che ha già sollevato le proteste di molti Sindaci, secondo la quale coloro che hanno un permesso di soggiorno perché hanno richiesto la protezione internazionale, non possono più essere iscritti (pur temporaneamente) nell’anagrafe comunale, con tutta una serie di gravissime conseguenze (iscrizione al Servizio sanitario nazionale, accesso all’assistenza sociale, partecipazione a bandi per alloggi di edilizia residenziale pubblica, ecc.).
È certo quindi che siamo alla vigilia di un primo importante tipo di conflitto su questo testo tanto tormentato, ma in questa prima vicenda non verranno in rilievo tutti i suoi seri difetti. Infatti adesso vengono in gioco solo le reciproche competenze di Stato e Regioni e quindi possono venire in rilievo solo le incoerenze rispetto alla politica di riparto dei poteri fra Stato, Regioni ed enti locali. In questo conflitto però non possono essere sollevate le tante possibili critiche contro la linea di fondo di questo testo legislativo, che purtroppo appare quasi tutto radicalmente ostile ad alcuni fondamentali valori costituzionali (la solidarietà, l’eguaglianza di fondo fra tutte le persone, l’apertura verso i più deboli) anche là dove non vengono in rilievo le Regioni o gli enti locali.
Nel giro di poco tempo, starà però ai tanti soggetti danneggiati e discriminati, magari a ciò stimolati anche dalle attuali iniziative di alcune Regioni, porre in via incidentale, prima dinanzi ai giudici ordinari e poi dinanzi alla Corte costituzionale, tutti i problemi di giustizia e di razionalità che possono essere agevolmente sollevati contro un testo eterogeneo del genere e che potrebbero anche portare ad una sua diffusa demolizione ad opera dei giudici ordinari e costituzionali.
C’è sinceramente da chiedersi se si è calcolato quanto potrà costare al paese una fase di acuta e prolungata conflittualità come quella che si preannuncia.
Né si cerchi – come pure qualcuno ha tentato di fare confusamente nei giorni passati – di coinvolgere nella responsabilità di tutto ciò il Presidente della Repubblica, che ovviamente ha doverosamente promulgato la legge 132/2018, così come è tenuto a promulgare tutte le leggi ai sensi dell’art. 74 della nostra Costituzione, salva la sola possibilità di rinviare il testo legislativo alle Camere insieme ad un messaggio di spiegazione dei suoi dubbi, dubbi peraltro sempre superabili dalla difforme volontà parlamentare : come già molti hanno chiarito (ma l’ignoranza istituzionale appare attualmente davvero forte !), il Presidente della Repubblica con la controfirma non garantisce la costituzionalità della legge, che non a caso può essere successivamente impugnata presso la Corte costituzionale.