la Repubblica, 7 gennaio 2019
Corbyn che sulla Brexit non si oppone a Theresa May
Soffro di un brutto caso di invidia dell’opposizione”. Comincia così l’ultima rubrica di Jonathan Freedland, il più autorevole columnist di affari politici del Guardian. L’opposizione a cui si riferisce è quella del partito democratico, negli Stati Uniti, contro Donald Trump. E la sua invidia deriva dal fatto che, mentre i democratici Usa, freschi vincitori delle elezioni di mid- term in cui hanno riconquistato la maggioranza alla Camera, attaccano senza riserve la politica della Casa Bianca, nel Regno Unito l’opposizione laburista in pratica non si oppone al governo di Theresa May sulla questione più importante per il futuro del Paese: la Brexit. Il leader del Labour, Jeremy Corbyn, si limita a dire: «Io farei una Brexit migliore di quella della premier conservatrice». La differenza è sottile. Corbyn vorrebbe che la Gran Bretagna uscisse dall’Unione europea ma restasse nell’unione doganale. Anche May vuole uscire dalla Ue e restare nell’unione doganale, ma in teoria non per sempre: sebbene non sia chiaro per quanto, poiché l’accordo da lei negoziato non pone limiti di tempo, una vaghezza che sembra destinata a spingere il Parlamento di Westminster a non approvarlo. Eletto leader con la promessa che lui, diversamente dai predecessori, avrebbe sempre seguito il volere del partito, in questo caso Corbyn non lo ascolta: il 90% degli elettori laburisti, secondo un recente sondaggio, lo esorta a schierarsi per la permanenza nella Ue, da raggiungere attraverso un secondo referendum, ma il suo anti-europeismo è così radicato da renderlo indifferente alla volontà dei militanti. Probabilmente pensa che una Brexit disastrosa da imputare ai Tories sarebbe la via più breve per andare al potere e realizzare, come si propone, il socialismo. Se il prezzo è provocare un disastro, pazienza. Due anni e mezzo fa, poco prima del referendum sulla Brexit, Freedland scrisse sul Guardian un articolo in cui immaginava che il diavolo gli chiedesse: se fra due mali potessi scongiurarne uno, cosa eviteresti fra la Brexit e Trump? Confessò che avrebbe preferito evitare la Brexit, perché l’elezione di Trump sarebbe stata un danno passeggero per l’America e per il mondo, con la forte possibilità di non vederlo rieletto, mentre la Brexit avrebbe danneggiato la Gran Bretagna e l’Europa per una o più generazioni. La beffa dell’annus horribilis 2016 è che entrambi i mali si sono realizzati: sia la Brexit che Trump, aprendo il trend del populismo poi estesosi altrove. “Ma avevo ragione a temere più la Brexit di Trump”, conclude ora il columnist del quotidiano londinese, notando come l’opposizione dei democratici fa sperare che Trump abbia vita breve mentre l’ambiguità di Corbyn fa temere che la Brexit diventi realtà. Da qui la sua “invidia” per quanto sta avvenendo oltre Atlantico. E bisogna dire che, assistendo all’offensiva lanciata contro la Casa Bianca dalla nuova leader della Camera Nancy Pelosi e a un partito democratico rianimato dalle donne, fra cui molte giovani e appartenenti a minoranze etniche e religiose, dalla senatrice Warren già candidata alle presidenziali 2020 alla collega Harris pronta a scendere in campo, dalla giovane deputata Ocasio-Cortez che balla ricevendo applausi invece di critiche alla prima palestinese eletta al Congresso Tlaib che promette l’impeachment di Trump dandogli del «motherfucker», l’opposizione Usa suscita invidia non solo tra gli inglesi. La fa venire anche a noi italiani.