La Lettura, 6 gennaio 2019
Un altro libro noioso di capitan Zanetti
Javier Zanetti, che fu capitano dell’Inter di Mancini e di Mourinho, ma anche di quelle perdenti di Cooper, capitano del Triplete dunque, ma pure del 5 Maggio (lo scudetto ormai vinto perso inopinatamente contro la Lazio nel 2002), è recidivo. Aveva già scritto un brutto libro (complice Gianni Riotta) e adesso ne ha scritto un altro, Vincere, ma non solo. Nel primo narrava noiosamente la sua carriera sportiva, nel secondo narra (ancor più noiosamente) la sua carriera di manager, di vice president (come ricorda più volte e sempre in inglese) della società nerazzurra, di dirigente che si confronta non più con le ali avversarie, ma con i Ceo e gli amministratori delegati. Racconta lo Zanetti che non fa più cross (arte in cui non eccelleva), ma riunioni (sperando che le faccia meglio dei traversoni). Un brutto libro con postfazione di Dino Ruta, «professore di Leadership e Sport Management Sda Bocconi, Università Bocconi», in cui l’autore si mette alla pari di Francesco Totti, confronto insostenibile in termini di religione calcistica. E del grande Dejan Stankovic dice solo che era un tipo che si innervosiva facilmente (era molto di più Deki, era un campione). Meno male che parla bene almeno di Diego Milito, artefice massimo del Triplete, e ricorda che «La Gazzetta dello Sport» gli diede 10+ in pagella dopo la finale Champions 2010. Ma con le pagelle ai calciatori, Zanetti ha un conto aperto. Per lui non hanno valore perché le fanno i giornalisti, dei non addetti ai lavori. Tipico ragionamento alla Zanetti, il vice president si scorda che giornalisti come Gianni Brera o Mario Sconcerti sono stati e sono riverentemente letti dagli allenatori (che di calcio se ne intendono). Ma Zanetti è fatto così, quando Mauro Icardi nella sua autobiografia scrisse male (profeta in patria viste le ultime vicende) degli ultrà dell’Inter, il vice president si schierò con gli ultrà. Ricordando il 10+ a Milito, al Capitano più di 3 meno meno non posso dare.