Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 06 Domenica calendario

Carbone, il cuore nero del potere. Intervista a James C. Scott

Fuoco, legna, carbone, è la storia della civiltà: senza quella prima scintilla non saremmo qui a parlare al telefono con James C. Scott, professore di Scienze politiche alla Yale University e studioso di poteri e sistemi produttivi, capace di muoversi controcorrente al punto da sfidare molte "verità" date per scontate nel racconto della storia umana. Lo fa con il suo nuovo saggio Le origini della civiltà, per esempio, nel quale si occupa della nascita degli Stati sfatando gli abituali schemi, primo tra tutti quello che contrappone i " barbari" al mondo civilizzato del primo millennio a.C..

Professor Scott, quando si parla del carbone si pensa subito alla rivoluzione industriale e ai romanzi di Dickens. Ma che posto ha il carbone nel mondo antico?
«Ad alimentare le fornaci per la lavorazione dei metalli e la produzione di ceramiche e utensili era il carbone vegetale, ottenuto bruciando la legna e soffocando il fuoco con la terra. Era un materiale più facile da trasportare e aveva un potere calorifero maggiore del legno. Il carbon fossile su larga scala va associato all’industrializzazione e al motore a vapore, anche se so che veniva usato per generare calore nell’antica Roma».
Persiani, greci, romani: cosa cambia con la fioritura mercantile nel Mediterraneo?
«Un carico di carbone vegetale poteva valere, per dare l’idea, anche quattro carichi di legna. E, come ho detto prima, era meno dispendioso da spostare. La legna veniva trasportata facendo galleggiare i tronchi lungo i fiumi, ma quando le risorse boschive prossime alle Città- Stato furono esaurite e fu necessario spingersi sempre più lontano, verso colline e montagne, allora si cercarono altri modi per minimizzare i costi. Il carbone era l’ideale per le lunghe distanze».
Una dinamica che si conferma più avanti.
«Ci sono molti dati provenienti dall’Europa medioevale che aiutano a capire quanto il costo della legna dipendesse dalla distanza. È più semplice e veloce far viaggiare una merce per mare che via terra. Nel 1800, per esempio, prima delle navi a vapore, si poteva impiegare per andare da Londra al Sudafrica un tempo non dissimile a quello per viaggiare via terra da Londra ad Edimburgo. Nel mio libro dimostro come nell’antichità luoghi anche a centinaia di chilometri di distanza potessero essere in realtà molto vicini in età antica via mare in termini di scambi e rotte commerciali rispetto a comunità a qualche decina di chilometri oltre le montagne».
Lei indaga i complessi rapporti tra sudditi dei primi Stati e chi resta fuori dalle mura, pastori cacciatori e raccoglitori. Relazioni che andavano dalla razzia agli scambi commerciali. Il carbone ne faceva parte?
«Certo. Il carbone era fondamentale per la metallurgia e per la creazione di armi in bronzo, la tecnologia militare dell’epoca su cui facevano affidamento le gerarchie primitive. Controllarne l’approvvigionamento aveva una sua importanza anche per la produzione di mattoni, ceramiche e altri beni di lusso con cui il potere ostentava la propria grandezza. Si vedano gli utensili e gli oggetti usati dalle élite greche e romane».
Quei primi sistemi sociali erano possibili anche perché utilizzavano la forza-lavoro degli schiavi. C’entra anche il carbone?
«Sì, quasi tutte le società antiche si basavano sulla schiavitù. Le loro erano guerre di cattura: si era più interessati a tornare a casa con delle persone che non alla conquista dei territori. Spesso si preferivano donne e bambini, ma erano gli uomini a essere fatti schiavi per i lavori pesanti. Possiamo immaginare che per Atene si trattava di avere manodopera per le miniere d’argento o per le cave; tutte attività svolte lontano dalla città. Così anche per ottenere carbon vegetale era necessaria una grande forza lavoro. I contadini contribuivano meno alla produzione, perché questa gravava principalmente sulle spalle degli schiavi».
Lei insegna scienze politiche: che ruolo ha giocato l’altro oro nero nella definizione dei centri di potere della modernità?
«Le rispondo con Kenneth Pomeranz, che in
La grande divergenza cerca di spiegare perché la rivoluzione industriale abbia avuto inizio in Inghilterra e non, mettiamo, in Cina, quando entrambi i paesi nel 1700 contavano un livello di sviluppo industriale simile. Per Pomeranz ad aver fatto la differenza è stata la presenza di depositi di carbone molto più vicini ai centri urbani e ai fiumi di quanto non lo fossero in Cina...».