la Repubblica, 6 gennaio 2019
Sette giorni di cattivi pensieri
In assenza di partite sul campo il nostro calcio continua a giocarne tre fuori campo, ma senza dare l’idea di poterle vincere, non sappiamo se per la forza degli avversari o per la sua scarsa voglia di combattere o per tutt’e due le cose insieme. Gli avversari si chiamano razzismo (cori contro Koulibaly a San Siro), violenza (imboscata, un morto prima di Inter-Napoli) e condizionamenti economico- politici sul calendario (Supercoppa a Gedda).
SportWeek ha pubblicato ieri uno stralcio dell’intervista a Ruud Gullit dopo un derby di 26 anni fa, quando gli ululati erano diretti a lui. E i tifosi del Milan, spiazzati dall’assenza nell’Inter di giocatori di colore, se la presero con Schillaci in quanto “terrone”. Una schifezza, insomma. Gullit dichiarò: «Il razzismo è sempre un fatto di miseria economica, gente che non ha lavoro o non vuole fare un certo lavoro». Ma prima di tutto è un fatto di miseria culturale: la curva dell’Inter è notoriamente di destra, ma uno dei suoi capi, lo stratega Marco Piovella, finito a San Vittore, è titolare di due aziende (una in Svizzera) e non è certo il lavoro che gli manca. Lo ha segnalato un pesce piccolo, un 21enne probabilmente alla sua prima spedizione punitiva («Mi ha detto andiamo e sono andato»). Sta passando i guai suoi, minacciato di brutto sul web. Nel linguaggio ultrà, solo un infame collabora con gli sbirri.
Tornando a Koulibaly, sogno il giorno in cui la solidarietà a un calciatore bersagliato da ululati o insulti venga espressa sul campo, a caldo, dagli avversari. Comodo farlo dopo qualche ora su Facebook. E la solidarietà non deve toccare solo quelli che hanno la pelle dello stesso colore di Koulibaly, come Asamoah, ma tutti, bianchi compresi. Sogno che siano Spalletti, o Handanovic, o Icardi, o tutti in blocco a fare verso i loro tifosi il gesto di piantarla, perché quei cori fanno male a tutti: avvelenano l’aria, sporcano l’immagine di una squadra e di una città e infrangono la regola-base di ogni sport, il rispetto dell’avversario. Certo, se Mazzoleni non avesse ignorato il protocollo, oggi si farebbero altri discorsi. Però sembra che a molti arbitri non garbi molto la prospettiva di sospendere, sia pure temporaneamente, una partita. La responsabilità di interromperla definitivamente tocca a un responsabile dell’ordine pubblico, che quasi sempre non lo farà, “per evitare guai peggiori”.
Domani a Roma ci sarà un incontro fra Salvini, ministro dell’Interno, e non si sa bene chi, i soliti interlocutori qualificati per i quali il nocciolo della questione è sempre altrove. Non è facile pronosticare vincente contro razzismo e violenza una società che non è riuscita nemmeno a estirpare il bagarinaggio (da San Siro alla Scala), ma non bisogna disperare. Qualcosa salterà fuori. Guai però a chiudere curve o stadi interi, ha già anticipato Salvini. Ma certo, diamogli una medaglia. Usiamo pannicelli caldi. Limitiamoci a sanzioni economiche. Sarà l’Europa a stangarci. Una cosa interessante Salvini l’ha detta. Nelle scuole si terranno lezioni di Educazione civica e lui chiederà di inserire in questo spazio l’educazione allo sport. Fatta seriamente, sarebbe una buona cosa. Consiglio al ministro, per la serie “non fate come me”, di diffondere il filmato in cui, in tribuna d’onore a San Siro, si esibisce per cinque volte di fila nel gesto del salame, eseguito con notevole foga e accompagnato ascensionalmente da una flessione sulle ginocchia. Scommetto che avrà più like rispetto al panino con nutella. Provare per credere.
Gedda, adesso. Fa piacere che se ne discuta tanto, si parla dei diritti delle donne e non di un fuorigioco di rientro. Io non ho nulla da dire a favore di Gedda, figuriamoci, ma questo maxidibattito in zona Cesarini mi lascia un po’ perplesso. Si sono giocate finali di Supercoppa nella Libia di Gheddafi, nella non democraticissima Cina, e dall’estate si sa della partita fissata a Gedda. Tutti uniti nell’invocare boicottaggi (Calderoli) o cambi di sede. Se penso a quello che disse Calderoli del ministro Kyenge, credo che farebbe meglio a tenere il becco chiuso. Salvini (titolo sul Corriere dello Sport): “Svenduto lo sport”. Il ragazzone è un po’ confuso, lo sport è stato venduto benissimo. Si è calpestato tutto il resto, questo sì. Di sfuggita, non credo che Andrea Agnelli o Leonardo si girino insonni nel letto pensando ai diritti negati alle donne saudite. E nemmeno credo che nel rispetto del diritti, di chiunque, l’Italia sia ai primi posti nel mondo. Con grande fermezza d’animo, Juve e Milan hanno detto da tempo che faranno quel che dice la Lega. E la Lega (Miccichè) in poche frasi ciniche ma sincere ha detto che i quattrini servono sempre e che il calcio non può ignorare la strada presa dallo Stato. In effetti, ai sauditi vendiamo fior di bombe da sganciare sullo Yemen, più altre commesse meno imbarazzanti, e vogliamo accapigliarci su due orette di pallone? Per le loro donne entrare allo stadio è già un passo avanti, ma ne restano ancora molti. Se all’Uefa ci fosse qualcuno un po’ spiritoso, avrebbe suggerito all’Italia di scegliere una donna come arbitro: prendere o lasciare. Per dimostrare che si possono noleggiare i muscoli ma non i cervelli, credo sia ancora possibile studiare un messaggio per le donne di Gedda che andranno allo stadio, e anche per quelle che non ci andranno: un nastro rosa, uno sbaffo rosa sulla guancia, per dire: siamo qui e sappiamo che ci siete anche voi. E tifiamo per voi. Mi piacerebbe che la scelta fosse individuale, non di squadra. Ma forse è chiedere troppo. Troppo, di questi tempi.