la Repubblica, 6 gennaio 2019
Vegani per un mese dopo gli stravizi delle feste
LONDRA Sono 300 mila in tutto il mondo, Italia compresa. Mancano solo Sud Sudan e Uzbekistan. Si sono arruolati volontariamente per una missione speciale: salvare il pianeta, risparmiare sofferenza agli animali e migliorare la salute globale. In poche parole: diventare vegani. Ma solo per un mese. Si chiama Veganuary ed è la versione millennial del vecchio dry january, il gennaio senza alcol dopo i bagordi di capodanno. Il movimento, nato in sordina in Gran Bretagna nel 2013 dall’idea di una coppia di animalisti, Matthew Glover e Jane Land, è cresciuto esponenzialmente, raddoppiando ogni anno i propri membri. Basta iscriversi gratuitamente sul sito di Veganuary (registrata come associazione benefica) per ritrovare una comunità di entusiasti divoratori di vegetali, nonché guide e supporto pratico su come diventare vegani doc. Non mancano ricette, menu settimanali, starter kit, consigli su come mangiare al ristorante evitando tutti i prodotti animali, compresi i derivati come miele, latte, strutto. Nel Regno Unito una persona su otto è vegetariana o vegana e ilGuardian ha dichiarato il 2019 anno del veganesimo. L’Italia, però, è in controtendenza.
Secondo l’ultimo rapporto Eurispes coloro che consumano solo alimenti di origine vegetale sono calati dal 3% del 2016 allo 0,9 del 2017. Mentre i vegetariani sono saliti dall’1,6% al 6,2. Ma dopo gli eccessi delle feste, con i soliti buoni propositi per il nuovo anno, cambiare dieta può avere un certo appeal. Per questo, dicono gli organizzatori, Veganuary ha così tanto successo. «Ormai il veganesimo non è più una controcultura ma è diventato un fenomeno di massa. Il termine “vegano” si vede dappertutto, nei negozi, nei ristoranti, sui giornali. Non siamo più una nicchia», spiega Rich Hardy, a capo della campagna del movimento. Per capire le ragioni di questo boom, secondo Hardy, basta entrare nei supermercati: i prodotti vegani si sono moltiplicati, sono più appetitosi e costano meno. «Ma non dimentichiamo l’ambiente», aggiunge. «L’università di Oxford ha pubblicato uno dei più grandi studi mai condotti sui danni degli allevamenti all’ambiente e ha concluso che adottare una dieta vegana è il singolo gesto più significativo che si possa fare per ridurne l’impatto». Di matrice ecologista è anche la campagna che prenderà il via in Francia la prossima settimana, lanciata da cinquecento personalità, tra cui Isabelle Adjani e Juliette Binoche. Invita ai “lundi vert”, lunedì verdi, durante i quali evitare sia pesce che carne. Sul fronte della salute, però, non tutti sono convinti che una dieta vegana sia una scelta oculata. Mentre la British Dietetic Association l’approva tiepidamente, Andrea Ghiselli, presidente della Società italiana di scienze dell’alimentazione, ci offre un altro giudizio: «Si tratta solo di una moda che può avere impatti negativi sulla salute e sulle attività sociali e comportamentali. Rinunciare a due gruppi alimentari su cinque espone al rischio di carenza di vitamina B12, zinco, ferro, calcio. Certo, per un mese non succede niente, ma non ci sono nemmeno benefici. In generale, come hanno dimostrato diversi studi, una dieta vegana non ha un impatto più positivo sulla salute di una dieta equilibrata onnivora. In poche parole, dobbiamo consumare meno carne, grassi, zuccheri e alcol, ma mangiando di tutto e muovendoci di più». In Inghilterra Veganuary è diventato anche un business.
Per gennaio Pizza Hut ha presentato la sua pizza vegan friendly e la catena Greggs la sua prima salsiccia vegetale.Mentre politici di diversi partiti si sono iscritti insieme alla sfida. Uniti per una volta, nonostante la Brexit.