Il Sole 24 Ore, 6 gennaio 2019
Intervista a Tremonti: «Gli eurobond sono una soluzione»
«La mia prima occasione di incontro con l’euro è stata accademica alla Oxford Union Society, 18 febbraio 1999. Dibattiti provocatori e paradossali, pensi che nel 1938 in un’occasione gli studenti votarono a favore di Hitler contro Churchill, salvo poi morire sui loro Spitfire. A ogni modo, il mio dibattito era “euro is in our national interest”? Sarei stato il primo oratore italiano mai invitato, ma ad un patto: dimostrare che l’euro conveniva al Regno Unito. L’avversario era Frederick Forsyth, che oggi si direbbe “populista”. L’occasione era unica e perciò avrei parlato anche a favore del demonio. Alla fine votarono se pure per poco a favore della sterlina. Non credo che oggi farebbero diverso, anzi». L’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti inizia con un aneddoto la sua intervista a Il Sole 24 Ore ed entra nel dibattito lanciato da questo giornale su vizi e virtù dei 20 anni della moneta unica.
A venti anni dalla nascita, che giudizio dà dell’euro?
Per quanto atipico l’euro è comunque una moneta e, come tutte le monete, non può essere trattato come una “monade” e neppure come un “noumeno”. Che sia Platone o Kant, che sia la tecnica a farsi metafisica, troppi “esperti” oggi considerano l’euro come entità staccata o staccabile dalla realtà e in specie dalla politica. E questo è per certi versi paradossale per due ragioni. In primo luogo perché l’euro fu concepito dai padri come strumento economico per fare politica: “federate i loro portafogli, federerete i loro cuori”. In secondo luogo perché gli ultimi venti anni, ovvero l’età dell’euro, sono anche gli anni nei quali sono cambiate la struttura e la velocità del mondo: venti anni fa non solo c’erano ancora le monete nazionali, ma c’era anche il telefono fisso, il commercio era ancora internazionale, non c’erano l’Asia o Internet. E già questo ci porta a una prima considerazione: che effetti hanno sulla moneta la scomparsa della domanda salariale un tempo causa sistemica di inflazione o l’apparizione di circuiti finanziari automatici e autogestiti che rendono la moneta, un tempo segno sovrano, sempre meno sovrana di sé stessa?
Insomma, secondo lei l’euro nacque tenendo poco conto della realtà internazionale?
È il caso di evitare l’errore “tecnico” che consiste nel considerare l’euro solo in termini di quantità monetaria, di velocità, di tassi o di cambio. Pensando che questo possa governare la realtà o prescindere dalla realtà. Soprattutto perché l’euro è moneta atipica. Per la prima volta nella storia, si ha moneta senza governi e governi senza moneta. All’origine ci furono un grande pensiero e grandi uomini. L’impressione è che la realtà presente sia un po’ differente.
L’euro è anche frutto di grandi eventi storici, come la riunificazione tedesca. Che ne pensa?
Le date chiave sono il 9 novembre 1989 e il 15 aprile 1994. È più o meno qui che si colloca il “big-bang” della storia contemporanea: a Berlino con la caduta del muro e a Marrakech con il Wto. Non puoi capire l’una senza capire l’altra. Dal crollo del muro all’unione monetaria passano solo 700 giorni, ma sono i giorni nei quali è cambiata la storia. Forse una eterogenesi dei fini. Non la riduzione della forza tedesca con l’estensione del marco, ma l’effetto opposto. In ogni caso la storia si rimette in cammino. Dappertutto, anche in Italia. Ricordo due episodi per tutti: 15 giorni dopo Maastricht inizia a Milano Mani Pulite. Qualche tempo dopo attracca a Civitavecchia il Britannia.
L’ingresso dell’Italia nell’euro avvenne per merito o perché conveniva ad altri Paesi europei?
È molto probabile che l’Italia abbia fatto il 3% di Maastricht perché si era già deciso di farla entrare nella moneta. Tutti gli Stati hanno fatto operazioni di bilancio per centrare il 3%, anche operazioni puramente contabili. Nel caso italiano la scelta fu tedesca, in terra neutra sul lago Lemano gli industriali tedeschi da un lato non ancora consolidati nella grande Germania e dall’altro temendo la concorrenza dell’industria italiana allora ancora molto forte convinsero la “banca tedesca” a fare entrare l’Italia nella moneta così che la curva dei tassi sul debito italiano crollò. Di incerto restava non l’ingresso, ma l’anno di ingresso. Non essendo un economista mi permetto di rinviare a quanto scritto da Modigliani e da Spaventa alle posizioni espresse da Ciampi, da Savona, da Romiti. È comunque probabile che il cambio lira/euro sia stato influenzato in negativo sull’Italia da tutto quanto sopra: come pizzino applicato sul biglietto di ingresso. Data la dimensione storica del fenomeno e la natura dell’Italia come paese fondatore, il tipico meschino errore.
L’ex premier Prodi ha scritto pochi giorni fa su Il Sole 24 Ore che se l’euro fece salire i prezzi di merci e servizi, la responsabilità è del Governo di centrodestra che, quando a inizio 2002 l’euro entrò nelle tasche degli italiani, non vigilò adeguatamente. Come risponde?
È polemica e infantile l’idea dei controlli da fare H24. L’idea sinistra della polizia annonaria. Nella realtà, nella storia dell’Italia non ci sono mai stati o comunque diffusi pezzi monetari ad alto valore ma sempre pezzi cartacei e monetine. Perfino gli assegnini degli anni ’70 erano pezzi di carta e come tali accettati. Se mi è consentito l’unica vera idea, e non solo per l’Italia ma per l’Europa, era quella della banconota da un euro e un’idea non solo di interesse italiano come alcuni ottusi mi obiettarono ma di interesse per l’euro in sé, se l’euro aspirava a diventare una vera moneta globale. Forse non è un caso se esiste la banconota da un dollaro.
Superato il changeover, che giudizio dà dei primi anni dell’euro?
Nei primi anni, a partire dal 2002, tutto è stato relativamente tranquillo e credo ben governato nella relativa normalità, portata da quella che in effetti era una assoluta novità. Ad esempio nel 2003 il caso in cui i “custodi dell’euro” volevano applicare alla Germania non solo la procedura per deficit eccessivo, ma anche le sanzioni. Ricordo di aver fatto notare che il Trattato prevedeva le sanzioni solo nel caso di intenzionale e sfidante deviazione dai criteri di Maastricht e non nel caso di numeri generati da una economia in crisi. Premesso che dare le sanzioni alla Germania, ma anche a nessun altro, non è una cosa molto intelligente, premesso che la Corte di Giustizia avvalorò la proposta italiana (salvo un piccolo errore di procedura commesso perché si era all’alba), premesso che se colpita dalle sanzioni la Germania non avrebbe poi fatto le sue grandi riforme, fu davvero curioso che chi chiedeva le sanzioni in applicazione fanatica del Patto dichiarò qualche tempo dopo che il Patto era stupido.
Trattato di Lisbona, allargamento a Est della Ue, globalizzazione. L’Europa cambia. Con che impatto sull’euro?
La storia faceva il suo mestiere e troppi esperti, governanti e santoni non si accorgevano di quello che stava succedendo. Con il Trattato di Lisbona la piramide istituzionale dell’Europa si è rovesciata, trasferendo verso Bruxelles enormi quote di potere non più controllato in senso propriamente democratico. La globalizzazione? Non è l’Europa che è entrata nella globalizzazione, ma la globalizzazione che è entrata in Europa trovandola incantata e impreparata: l’Europa a disegnare l’astratto mercato perfetto, le nostre imprese costrette a competere con mondi molto meno vincolati e regolati. L’allargamento ad Est? Giusto, ma troppo veloce. E ora chi lo chiedeva così veloce condanna Visegrad. Forse avrebbero dovuto leggersi un libro di storia. In ogni caso l’Est chiedeva democrazia e Bruxelles e il Lussemburgo si sono organizzate come la fabbrica della democrazia post-moderna ad esempio occupandosi della “horizontal family”. Infine la crisi. Non si trova la parola crisi nei Trattati se non a proposito delle calamità naturali e degli sbilanci commerciali in un singolo Stato. Il fondo anticrisi proposto dall’Italia nel 2008 fu costituito anni dopo usando un notaio che arrivò di notte all’Eurogruppo incorporandolo come un “hedge fund”.
Con la crisi divampa la polemica contro l’Europa delle regole e i burocrati di Bruxelles. Di chi è la responsabilità?
La sconfinata devoluzione di poteri verso l’alto e quindi verso un sostanziale vuoto democratico, l’orgia legislativa, la eliminazione totale istantanea dei dazi europei, la trasformazione dell’Europa in un corpus politico sui generis, la mala gestio della crisi, ciascuno di questi fatti capace da solo di produrre effetti violentissimi, e tutti insieme un caos, tutto questo per quasi venti anni è stato causato ma non capito dalla classe dirigente europea che adesso ricorda i nobili dopo la rivoluzione francese. Non hanno capito niente, ma ricordano tutto. Ricorda chi chiedeva di tenere ancora un po’ i dazi e chi ancora nel ’97 parlava della lumachina di mare, dei fagioli europei, dei furetti con il passaporto europeo, etc.? Pochi sanno che in extremis pochi giorni prima del voto sulla Brexit Bruxelles sospese il regolamento “toilet flushing” sugli impianti igienici da standardizzare nelle case europee. E poi uno si chiede perché “questa” Europa non è amata.
Soluzioni possibili?
Il venire meno della solidarietà con le atrocità combinate alla Grecia e con il golpe finanziario in Italia sono episodi che non possono più essere ripetuti e forse l’idea degli eurobond, già emersa con la proposta Delors nel 1994 e più avanti con la Juncker-Tremonti, potrebbe essere la soluzione.
Gli anni della crisi hanno portato alla ribalta la Bce. Con Qe e «whatever it takes» Draghi ha salvato l’euro. Concorda?
Una premessa. Mi risulta che il Parlamento tedesco abbia appena approvato, e che quello francese stia per farlo, una norma che sterilizza l’impatto di una “Hard-Brexit” sui derivati con controparti europee. Che cosa vuol dire? Io credo che pur determinata dalla scelta americana di creare moneta “ex nihilo” la scelta Bce della “quantitative easing” sia stata pur nella sua particolare applicazione una grande e giusta scelta. Ma forse anche per valorizzarla nella sua intelligenza politica è venuto il tempo di alcuni rilievi ed interrogativi: il 2% di inflazione è davvero un target o piuttosto un plafond? E comunque che effetto hanno gli strumenti monetari nel’età della globalizzazione? Nel wording Bce si legge da anni: “sovereign debt crisis”. Siamo sicuri che la crisi fosse nei debiti, nei bilanci pubblici o non piuttosto nel settore privato? Perché si è permesso ai Governi di fare “austerity” salvo il caso di qualche Governo che ha fatto l’opposto? Ha avuto senso speculare contro gli Npl italiani sottraendo risorse alle nostre banche ed invece ignorare il mondo opaco ed enormemente più pericoloso dei derivati?
L’euro è irreversibile? La maggioranza degli italiani e degli europei è a favore della moneta unica. Che ne pensa?
Un conto è uscire da una moneta nazionale per entrare in una moneta sovranazionale. Un conto è uscire da una moneta sovranazionale per entrare in una moneta nazionale. Chi lo fa perde il futuro senza riacquistare il suo passato. Si dimentica che c’è stata e che c’è comunque la globalizzazione e che forze esterne distruggerebbero l’operazione. Tra l’altro per una moneta nazionale servirebbe coesione nazionale, non una parte che la vuole e l’altra no. Chi firmerebbe le nuove banconote e chi le prenderebbe in cambio delle materie prime che noi trasformiamo? Se è pur vero che in questo momento c’è più paura di perdere l’euro che fiducia nell’euro in sé, il popolo italiano nella sua profonda saggezza la dice molto lunga al proposito. Certamente qualcosa in più va fatto. Guardi la fotografia del Trattato di Roma: uomini, un tipo d’uomo che gli inglesi dicono “grave”, uomini che avevano fatto la prigione o l’esilio per le loro idee. Guardi le “family photo” europee attuali. La differenza non sta solo nel fatto che quelle erano foto in bianco e nero e queste sono foto a colori.