Libero, 6 gennaio 2019
Il freddo ha fatto crescere l’uomo
Scrivere dell’inverno è raccontare di un’attesa. La Natura trattiene il respiro, il sole impallidisce, le ore buie si allungano, gli alberi si spogliano e i rami nudi sembrano ossa tese verso il cielo che invocano il miracolo di una rinascita. E noi ogni anno ammiriamo con stupore lo spettacolo della Natura che si prende una pausa prima di esplodere nei mille colori dei fiori di primavera, prima di essere trafitta dai raggi del sole d’agosto. La notte che si fa presenza costante e il buio ci mette di fronte alla tangibilità della morte. La Natura tra parentesi ci rimanda alla nostra fragilità di uomini. Lo storico Alessandro Vanoli nel libro Inverno, il racconto di un’attesa (Il Mulino, pgg.210 euro 15) riabilita la stagione solitamente meno amata, la eleva, le restituisce un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’uomo. Vanoli con la sua scrittura dal tono mai accademico ci conduce indietro nel tempo, nel primo «infinito inverno» perché fu il freddo a fare di noi quello che siamo diventati. Tutto iniziò cinquantamila anni fa, quando l’Homo Sapiens cominciò a spingersi dalla Palestrina verso il Nord. Scrive Vanoli: «E fu allora, quando si trovò in quell’immensa massa di ghiaccio, scarsa vegetazione e lupi, iene, alci, cervi, rinoceronti lanosi e mammut, che l’uomo imparò a cacciare». La storia dell’uomo è fiorita nelle grandi glaciazioni, quando ha dovuto sfidare e temperature feroci e belve ancora sconosciute per sopravvivere. È nel freddo e con il freddo che l’umanità si è evoluta. Vanoli ha inseguito nei secoli la stagione più fredda intrecciandola con la storia dell’uomo. Dal gelo primigenio della grande glaciazione o quello primo-medievale dei monaci benedettini; un inverno di una durezza solo lontanamente immaginabile per noi. La lezione del freddo è una penitenza dolorosa per gli amanuensi. «Ancora qualche giorno e poi l’inchiostro comincerà a gelare nei calamai: e quasi sembrerà una benedizione, perché in quel momento ai copisti sarà permesso l’accesso alle cucine affinché il calore dei fuochi faccia ritrovare il calore all’inchiostro la sua fluidità». E poi il duro inverno di Canossa sperimentato da Enrico IV presso il castello di Matildico o il “Generale inverno” russo a cui soggiacque l’armata napoleonica. E ancora il freddo nella pittura, nella musica, nella letteratura. Entriamo in punta di piedi negli inverni della storia, un ovattato intervallo bianco, pieno di feste e riti. Mesi in cui la Natura mette a nudo la sua anima e noi, fragili e minuscoli siamo sopraffatti da questo spettacolo in bianco e nero che ci attrae e ci terrorizza.