Libero, 6 gennaio 2019
Resuscitare i mammut
Sono due le cose che rendono i tentativi di far alzare e camminare un mammut più probabili di un avvistamento Ufo; e gli scienziati che ci lavorano sono meno che dei visionari speranzosi: carne, sangue e ossa di questa bestia preistorica sono stati ritrovati congelati – anziché fossilizzati, e perciò meglio conservati- nel permafrost che copre il territorio settentrionale più desolato della Russia. Il secondo fattore è che i mammut condividono il 99,4 per cento dei loro geni con gli elefanti (le due specie intrapresero percorsi evolutivi diversi sei milioni di anni fa) e quindi un embrione clonato potrebbe essere “facilmente” impiantato nell’utero di un elefante indiano. Di questo progetto, e di altri della cosiddetta “scienza della de-estinzione” (per esempio: riportare in vita il piccione viaggiatore piuttosto che la castagna americana), scrive la giornalista svedese Torill Kornfeldt nel suo libro “The Re-Origin of the species” (facendo il verso all’“Origine delle specie” del padre della teoria dell’evoluzione, Charles Darwin). Nel 1993 uscì nelle sale Jurassic Park, di Steven Spielberg, e fu uno scroscio di applausi e un crepitio di bambini improvvisamente stregati dai dinosauri. Nella storia, le creature erano state create col sangue estratto da zanzare vissute nel Mesozoico e rimaste imprigionate nella resina fossile. «La scienza avanza così rapidamente che far rinascere i mammut potrebbe essere realtà tra dieci anni. Il tessuto che abbiamo scoperto è la materia prima necessaria per ricostruire il codice genetico», ha dichiarato lo scienziato Albert Protopopov, alla guida della ricerca presso l’Accademia delle scienze di Yakutsk (capitale della Sakha, in Siberia, regione ricchissima di diamanti e fonte dell’80 per cento dei ritrovamenti di tessuti molli di animali del Pleistocene e dell’Olocene). «Viviamo nella speranza di trovare cellule viventi – forse nello sperma congelato di mammut», spiega, «che ci permetteranno di completare la catena del Dna». Da poco hanno sezionato la testa di un mammut: in gola, aveva del ghiaccio di 43mila anni fa, era morto annegato. La bestia, in media, pesava 12 tonnellate per oltre tre metri e mezzo, all’incirca come gli elefanti africani oggi. Le zanne erano lunghe fino a 5 metri, coperte da lunghi peli arruffati. Hanno convissuto con i primi esseri umani, che si ritiene abbiano contribuito con la caccia, insieme con le glaciazioni, a portarli all’estinzione circa 10mila anni fa (nell’isola di Wrangel, nell’Artico, sono sopravvissuti fino a 3.500 anni fa).
SALVARE IL MONDO
Chi accorcia, e di molto, il tempo necessario per veder troneggiare di nuovo questo gigante, è il genetista di Harvard George Church, esperto della tecnica Crispr/Cas9 – una delle più importanti scoperte scientifiche degli ultimi anni, che permette di tagliare il Dna e aggiungere o togliere dei geni con una precisione che non ha precedenti nella storia dell’ingegneria genetica (Crispr sta per clustered regularly interspaced short palindromic repeats, traducibile come «brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari»; e Cas9 è il nome della proteina che permette di operare nel punto desiderato). Church, entro la fine del 2020, vorrebbe impiantare l’embrione in un utero artificiale. Quando lui e il suo team avranno successo, spiega il luminare, salveranno il mondo. Se branchi di mammut ricominciassero a passeggiare sulla terra, infatti, potrebbero fermare lo scioglimento del permafrost: mano a mano che la calotta glaciale si assottiglia, libera nell’atmosfera miliardi di tonnellate di metano. Come? «I mammut appiattiranno la neve, mangeranno erba, abbatteranno alberi, terranno sotto controllo il proliferare delle piante, elementi che attirano la luce del sole e quindi calore, al contrario della neve che è una superficie riflettente. Il ghiaccio stagionale, con meno vegetazione, penetrerebbe più a fondo, permettendo il congelamento del suolo. I redivivi animali abbasserebbero la temperatura del permafrost», spiega Church. Ancora più in grande pensa la squadra del dottor Protopopov, che dal 2012 sta lavorando su campioni di altre bestie estinte: rinoceronti lanosi, lupi e leoni delle caverne. Una razza di cavallo potrebbe essere la prima a tornare a respirare, perché il loro codice genetico è quasi sovrapponibile a quello dei loro parenti moderni. L’obiettivo finale? Creare il “Parco del Pleistocene”.