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 2019  gennaio 06 Domenica calendario

Quelle lenti anti-riflesso del Vasari

Era sera nella basilica di Santa Croce a Firenze, e don Vincenzo Borghini, intellettuale di punta nella corte di Cosimo I de’ Medici e sovrintendente al cantiere di Giorgio Vasari, ha il compito di controllare il montaggio delle due grandi tele del maestro aretino sugli altari. «Parmi che tornino molto bene». Ma «il San Tommaso ha dirimpetto quei lumi e vi batteva il sole che gli danno un po’ di noia». «Ma io, messer Giorgio, ho nelle cose vostre gli occhiali che mostrano bene tutto». Un passaggio chiave, un dettaglio inaspettato, un particolare sconosciuto, che ha sorpreso gli storici dell’arte. Come a dire, che il Rinascimento ha segnato anche l’invenzione degli occhiali anti-riflesso. Montature con speciali lenti oscurate, forse affumicate (le ipotesi sono aperte) create sotto l’acume di Giorgio Vasari. Siamo di fronte ad una lettera vergata dal Borghini il 20 dicembre del 1572, ritrovata in un significativo carteggio del Vasari legato al grande cantiere di Santa Croce, che è stato ora al centro di un accurato studio in occasione del restauro della tomba di Michelangelo, promosso dall’Opera di Santa Croce di Firenze che sovraintende alla basilica fiorentina. Il restyling, che aveva coinvolto soprattutto il grande olio raffigurante l’Andata al Calvario (eseguito dal Vasari nel 1572) era già salito all’attenzione mediatica qualche settimana fa per aver svelato particolari inediti, come il ritratto di Michelangelo nella figura di Nicodemo, e del Rosso Fiorentino nelle vesti di Giuseppe d’Arimatea. 
I DOCUMENTI
Ora, un’indagine nelle carte d’archivio arricchisce la storia, riportando alla luce altri dettagli «molto curiosi e insospettabili», commenta lo storico dell’arte Claudio Paolini della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Firenze, che ha passato al setaccio tutto il carteggio di epistole segrete. 
Il corpus monumentale di lettere di Giorgio Vasari, in realtà, era stato già studiato e pubblicato da Karl e Herman Frey nel 1923. «Ma nessuno aveva mai notato questo passaggio nella lettera di Borghini, non se n’era mai fatta menzione – commenta Paolini – Probabilmente Vasari si era costruito una montatura con lenti leggermente oscurate: possiamo pensare che fossero affumicate. Il Borghini descrive in queste frasi una situazione che molto spesso si verificava quando le opere da poco eseguite o restaurate, su cui veniva stesa la vernice di finitura, avevano problemi di riflessi. L’illuminazione è sempre molto difficile da calibrare in questi casi, perché si verificano bagliori con zone acute in cui si riflette la luce, impedendo una visione completa dell’opera». Il Borghini risolve l’impasse con gli occhiali del maestro. Perché Borghini scrive questa lettera? Nel momento in cui le due tavole eseguite da Vasari nel 1572 – l’Andata al Calvario per il nipote di Michelangelo, Lionardo Buonarroti, e L’incredulità di San Tommaso per la famiglia Guidacci – devono essere montata sui due altari speculari della basilica, Vasari viene richiamato a Roma (per il cantiere del Vaticano). 

L’INCARICO
Assente da Firenze, fa riferimento a Vincenzo Borghini, personaggio di punta nella Firenze dell’epoca, incaricandolo di seguire tutte le fasi delicate dell’allestimento. Non solo, ha il compito anche di riscuotere dal Buonarroti i soldi pattuiti per lui e per le altre maestranze. «Accanto ai nomi, compaiono nelle lettere i costi da sostenere per i vari lavori, restituendoci uno spaccato vivo e significato dei cantieri del tempo e delle modalità con cui si realizzavano questi capolavori», avverte Paolini. Il legnaiolo Dionigi Nigetti, l’intagliatore delle cornice Giovanni Gargiolli, il doratore Cesare di Vinci Fabrini. Una corrispondenza che sarà oggetto di una pubblicazione. 
Ed ecco che spunta la lettera di Borghini. Risponde al Vasari che gli aveva precedentemente chiesto «come è andato il montaggio, come stanno le tavole, si vedono bene dalla navata?». La risposta: «Hiersera fui in Santa Croce e vidi su tutte le due nuove tavole e parmi che tornino molto bene, e in quella del Buonarroti anco un po’ meglio. E la istoria credo che ne sia cagione che del resto sono di un medesimo maestro. Et anche era da sera e quella di San Tommaso ha dirimpetto quei lumi e vi batteva il sole che gli danno un po’ di noia e bisogna correr costì per certi versi a poterla vedere bene». E qui viene il bello: «Ma io ho nelle cose vostre gli occhiali che mostrono bene tutto». Vasari gli aveva lasciato, dunque, i suoi occhiali che permettevano di vedere le tele senza riflessi sulla vernice di finitura. Un gioiello tecnologico.

LA COMMITTENZA
La storia delle due grandi tavole, d’altronde, procede in perfetta sincronia. Siamo nella cappella della famiglia Guidacci: Nel 1566, il Granduca aveva dato ordine al Vasari di intervenire su varie chiese fiorentine, tra cui anche Santa Croce che doveva essere adeguata alle nuove disposizioni del Concilio di Trento. «C’era la necessità di riavvicinarsi al papato di Roma», spiega Paolini. Il progetto segue un programma ben preciso: demolire l’antico tramezzo che divideva la zona dei fedeli da quella del clero, imbianca tutta la chiesa per acquisire un senso di candore, pulizia e ordine, e realizza i 14 nuovi altari: «Ogni altare rientra sotto l’egida del patronato di una famiglia fiorentina – sottolinea Paolini – Ma per le pale viene imposto un programma comune dedicato alla Passione e morte del Cristo. Borghini è il responsabile del programma iconografico. E le famiglie sono tenute a pagarne la realizzazione». Ai Buonarroti tocca l’Andata al Calvario (oggi tornata a splendere grazie alla restauratrice romana Maria Teresa Castellano). Ai Guidacci, il San Tommaso.