Il Messaggero, 6 gennaio 2019
Boom dei cibi islamici nel mondo
La crisi economica si fa sentire un po’ dappertutto ma in Europa si fa strada un settore che sta volando, con performance decisamente sostenute, facendo ben sperare gli imprenditori dell’agroalimentare che hanno colto le enormi potenzialità dei cibi Halal: gli alimenti permessi dall’Islam che si stanno rivelando più redditizi dei cibi bio o vegani. Un caso interessante dal punto di vista economico e sociologico, analizzato in molte università europee ma al centro di studi anche nei paesi a maggioranza islamica dove il mercato è in forte espansione, vale a dire Indonesia, Turchia, Bangladesh, India, i principati del Golfo (Emirati, Barhein), il regno dell’Arabia, Malesia, Pachistan, Algeria, Marocco. Cedomir Nestorovic, esperto di finanza islamica e professore alla università Essec, la business school francese, ha parlato a Roma di questo settore partecipando ad una sessione di studi alla Gregoriana, invitato da padre Lauren Basaneses. «Solo l’anno scorso il mercato globale dei cibi Halal è stato valutato circa 1,3 miliardi di dollari. Se si includono anche cosmetici, farmaci e turismo Halal, si arriva a 2,3 miliardi. Tra cinque anni si calcola che possa arrivare a 3 miliardi, pari ad un aumento annuale ipotizzato tra il 6 l’8%. Il volume d’affari è quattro volte il mercato del lusso. Un andamento spiegabile non solo con la crescita della popolazione islamica nel mondo, ma anche con lo sviluppo delle economie dei Paesi islamici e l’influsso della cultura occidentale». Un altro esempio è la crescita, il 6,8% l’anno, dei consumi dei cosmetici Halal presso le donne musulmane.
Tutto ciò lo hanno capito bene multinazionali come Danone o Nestlè, o catene di distribuzione come la francese Carrefour, da tempo presenti sui mercati arabi con prodotti certificati dalle autorità islamiche locali. Persino la Nutella della Ferrero è ormai un prodotto Halal certificato, così come i Kinder Bueno o gli ovetti di cioccolata (anche se il Belgio in testa alla classifica delle nazioni maggiormente esportatrici di cioccolata Halal).
LE CERTIFICAZIONI
«Le certificazioni dei nuovi prodotti sono necessarie se vengono immessi nei mercati islamici. I certificati attestano che non contengano sostanze proibite, come per esempio il grasso di maiale». Il Brasile da tempo ha colto la potenzialità di questo mercato tanto da essere diventato, nell’arco di pochi anni, il primo esportatore di carne Halal nel mondo. Soprattutto pollame e vitello che raggiungono i mercati di destinazione grazie alla catena del gelo. La Danimarca, invece, è la prima nazione in testa per esportazioni di formaggi Halal. A misurare la complessità di questo business, a Dubai, è nato un osservatorio che ogni anno pubblica i dati sullo stato dell’economia dei paesi musulmani: si chiama Salam Gate Away, e sul sito web è possibile avere riscontri e dati particolareggiati. Le certificazioni vengono richieste anche per i cosmetici. Gli esperti delle moschee garantiscono con particolari attestati che dentro creme antirughe o creme per il corpo non vi sono particelle di sostanze animali, come il collagene, derivanti dalla catena animale proibita. Il mercato è talmente vasto che si sta espandendo in altre direzioni. Cedormi Nestorivic racconta che stanno nascendo persino pacchetti turistici Halal: in questo caso vengono proposti ai consumatori di fede islamica destinazioni per vacanze in regola con i precetti coranici. Sono anche suggerite ai clienti musulmani compagnie aeree certificate sulle quali si può salire perché Islam friendly. Per esempio quella della Malesia che rispetta il divieto, durante i voli, di fare sedere degli uomini accanto a una donna che viaggia sola e non accompagnata. Le direttive europee in passato si sono scontrate con questa visione e hanno sollevato alcuni problemi di natura normativa. In Francia, per esempio, nel settore della macellazione è stata introdotta una deroga che permette l’abbattimento degli animali secondo le regole del Profeta che prescrivono che la bestia da macellare rimanga vigile e non sia prima stordita. La pratica è discutibile, ma siccome business is business, alla fine è prevalsa la regola islamica.