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 2019  gennaio 05 Sabato calendario

Intervista a Rocco Siffredi: «Racconterò la mia vita a teatro»

Sentirlo parlare. A teatro. Da solo. Addirittura vestito. Messe insieme queste parole non sono proprio le prime che vengono in mente se si pensa a uno come Rocco Siffredi, abruzzese di Ortona (Chieti), 54 anni, moglie e due figli di 22 e 19 anni, molto probabilmente il pornodivo più conosciuto al mondo. Eppure dal 18 febbraio – la prima è in calendario al Teatro Brancaccio di Roma – sarà il protagonista di un tour teatrale in cui proverà a raccontare chi è davvero, partendo dalla sua infanzia fino ai filmati più spericolati e trasgressivi. L’abbiamo incontrato in una sala di un grande albergo di Roma e tutti, ma proprio tutti, quelli che in un’ora abbondante sono passati da quelle parti, l’hanno salutato, hanno strizzato l’occhio, hanno sorriso.
Ha problemi di soldi, salute, altro? Perché fa questo spettacolo?
«Va tutto bene. Ho solo voglia di farmi conoscere meglio. Non sono solo quella roba lì».
Quella roba lì, però, condiziona non poco.
«Certo. Per questo mi piace l’idea di raccontare la persona più del personaggio».
Quali sorprese riserva la persona Rocco Tano in arte Siffredi?
«Parlerò sinceramente della mia vita, compresi i momenti brutti e dolorosi. Episodi che neanche mia moglie conosceva. Insomma, anche se ho fatto sesso con circa seimila donne una vita come la mia non è stata solo divertente. Il titolo del monologo l’ha scelto mia moglie Rosa per dire che sono l’ultimo di un mondo sparito».
In che senso?
«Il porno è cambiato e io mi sento un pesce fuor d’acqua. E non per l’età».
E perché, allora?
«È un business senza più gioia, è diventato solo un fatto meccanico».
Lei si dà ancora da fare o no?
«Solo in una serie, in cui faccio lo psicologo».
Vabbè. E poi?
«Produco una ventina di film l’anno».
I guadagni di una volta se li sogna?
«Sì. Adesso sono come un impiegato in mano ai ragazzini del web, che con quelli come me sono diventati ricchi sfondati. Metto i miei film sulle loro piattaforme e poi mi danno una percentuale: hanno tutti i domini giusti e un traffico mostruoso. Da solo non riuscirei mai a essere competitivo».
All’inizio fu facile?
«Per niente. Nel 1984 decidere di fare questo lavoro era da matti. E io un po’ lo ero, avevo il chiodo fisso».
I suoi genitori come la presero?
«Male. Poi hanno capito e mi hanno sempre sostenuto. Se non fosse stato così non ce l’avrei fatta. Adoravo mamma: l’ho sentita ogni giorno per tutta la vita».
Per i suoi figli, invece, un padre come lei è mai stato un problema?
«Sì, purtroppo. Anche se sono cresciuti in Ungheria, e non in Italia, dove sarebbe stato peggio, per loro non è stato facile, anche se non me l’hanno mai fatto pesare. Personalmente avrei dovuto sentirmi meno in colpa, fregarmene del giudizio degli altri, e fare il genitore con più sicurezza. L’ho capito solo con il tempo».
Rifarebbe tutto?
«Certo. Sono partito da un paesino abruzzese e ho girato il mondo, ho guadagnato, ho fatto quello che volevo. Mi è andata bene. Ho anche una famiglia, grazie a mia moglie Rosa».
Il prezzo da pagare?
«La solitudine. Quelli come me sono ghettizzati. Ovunque la società, in Ungheria come in Scandinavia o in Italia, ti considera sempre e comunque male».
Nel mondo del porno amici veri ne ha?
«Ho tante conoscenze».
Cosa la spaventa di questo progetto teatrale?
«Di non essere preso sul serio».
All’inizio doveva esserci anche Dario Vergassola: che fine ha fatto?
«Non ci sarà. Ho sbagliato io. Avevo pensato di coinvolgerlo in maniera divertente ma poi ho capito che non voglio sdrammatizzare la mia storia. Deve venire fuori la realtà per quello che è. Un po’ come nel monologo Mike Tyson: tutta la verità. Certo, lui aveva Spike Lee a dirigerlo, io faccio tutto o quasi da solo».
L’ha mai incontrato Tyson?
«Una volta a Las Vegas, durante un gala. Quando mi vide cominciò a urlare: Rocco, I Know You! You Are The Man!. Idem Sylvester Stallone, che ha visto quasi tutti miei film. Bello, no?».
Come l’ha presa Vergassola?
«Ha capito. E per questo non smetterò di ringraziarlo».
Come stanno andando le prevendite?
«La verità? Male».
Perché?
«Sono uno da vedere a casa. Quando nel 2016 ho girato il documentario Rocco, diretto dai francesi Thierry Demaizière e Alban Teurlai, alla prima di Roma in sala c’erano 50 persone. A Parigi due giorni dopo il cinema era strapieno e fuori c’era la ressa. E dopo ha fatto il record di incassi. In Italia dopo un week end era già fuori dal circuito, ma quando è andato su Netflix ha fatto il picco di streaming. Gli italiani sono cosi, non ci mettono la faccia. E poi c’è anche un altro problema».
Quale?
«Alcuni gestori dei teatri hanno paura: ma Rocco che fa? Non è che se lo tira fuori?».
Lo farà?
«Scherza? Parlerò e basta. In smoking».

Quante date farà?
«Per ora di confermate ce ne sono sei, qualcuna è stata cancellata. Di nuovo c’è anche che Canale 5 mi ha offerto di fare l’opinionista nella nuova edizione dell’Isola dei famosi. Ci stiamo mettendo d’accordo».
Com’è invecchiare? Brutto?
«Non più. A 50 anni non riuscivo a guardarmi allo specchio. Adesso a 54 mi accetto».
Con Viagra e pillole varie come è messo?
«Per quello che faccio adesso, non mi servono. Tutti gli altri, però, sono punturati, prendono roba molto più potente come Caverjet e papaverina. Ecco perché è cambiato tutto».
È vero che ha firmato per una grande produzione tv?
«Sì. Ho appena siglato un accordo con una grande società di produzione che, per Sky Uk e Canal Plus Francia, realizzerà una serie con la storia della mia vita. Un lavoro per tre edizioni da 10 puntate l’anno, da vedere nel 2021».
Reciterà?
«No. Al mio posto ci sarà un attore. Uno normale».