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 2019  gennaio 04 Venerdì calendario

Grande Guerra, 90.000 morti in meno

In tutti i libri di storia il numero dei morti italiani durante la Prima guerra mondiale assomma a 650 mila. Si tratta di un dato a cui si giunse subito dopo il conflitto e che da allora non è quasi mai stato messo in discussione. Ma le cose sembra non stiano esattamente così. Il numero dei deceduti durante il primo conflitto mondiale è oggetto negli ultimi anni, in vari Paesi d’Europa, di revisione. Ciò è dovuto da un lato alla possibilità di utilizzare nuovi strumenti informatici che permettono di gestire ed elaborare grandi masse di dati. Dall’altra, dal fatto che a interessarsi di questi temi non sono soltanto gli storici militari ma anche i demografi, che hanno una sensibilità particolare per fenomeni complessi di questo tipo.

50.000 tra i prigionieri
Alessio Fornasin, professore di Demografia all’Università di Udine, sta lavorando da qualche anno su nuove fonti, con interessanti risultati. Come detto, il dato finora universalmente accettato era che i caduti italiani sarebbero stati 650 mila, tra i quali 100 mila morti nelle mani del nemico su un totale di 600 mila prigionieri. Questa eccezionale mortalità dei nostri internati fu stimata dall’apposita Commissione d’inchiesta nominata subito dopo il conflitto, ma è stata a lungo dimenticata dalla storiografia e dalla coscienza civile del Paese, anche perché in tempo di guerra le autorità italiane si rifiutarono di soccorrere i nostri militari nei campi di prigionia stranieri come invece fecero le altre nazioni in guerra.
Comparando i dati raccolti nel 1926 da Corrado Gini (futuro presidente dell’Istat) con indagini compiute sui ruoli matricolari, Fornasin è invece giunto al dato di 50 mila morti italiani in prigionia. In ogni caso, un tasso di mortalità superiore a quello di Francia, Regno Unito e Germania.
Ancora più interessanti sono i risultati rispetto al numero complessivo dei morti. La cifra finora sempre considerata era quella avanzata dalla Commissione per le riparazioni di guerra, che formulò la richiesta di parte italiana alla Germania, incolpata dell’aggressione che determinò l’avvio del conflitto.
Fornasin ha confrontato le cifre ufficiali con l’altrettanto ufficiale «Albo d’oro dei caduti in guerra», la gigantesca opera in 28 volumi, edita tra 1926 e 1964, che riporta i nomi di tutti coloro che sono morti in qualsiasi contesto bellico (renitenti e fucilati «per l’esempio» esclusi) o che sono risultati «dispersi». 

Gli effetti della Spagnola
Questa fonte riporta un totale di 529 mila morti o dispersi fino alla data del 31 dicembre 1920, includendo dunque anche coloro che morirono per le conseguenze di ferite, della prigionia o per causa di malattie (come la devastante epidemia di influenza Spagnola) mentre erano ancora sotto le armi. A questi il demografo udinese propone di aggiungere una stima di circa 30 mila unità, ricavata da analisi e approfondimenti su singole realtà campione, comprendente coloro che vennero esclusi o omessi dall’Albo.
Nel complesso, dunque, i morti italiani della Prima guerra mondiale sarebbero stati 560 mila, 90 mila in meno di quanti abbiamo dichiarato (avendo dati solo parziali a disposizione) a Versailles. Ben 35 su cento di questi morirono di malattia, anche se non è naturalmente possibile sapere se non sarebbero deceduti egualmente, anche in abiti civili, per esempio di Spagnola.
Soprattutto, il numero più alto di morti si ebbe, sia per malattia sia tra i prigionieri, nel 1918 e non, come si potrebbe pensare, nel 1917, l’anno di Caporetto. I conti della storia, anche quelli che sembrano sicuri, sono spesso da rifare.