il Giornale, 4 gennaio 2019
Schede per cellulari fantasma, le nuove armi del terrore
C’è un tagliagole nigeriano compromesso con i Boko Haram, amico di Salah Abdeslam, uno dei membri del commando responsabile degli attacchi di Parigi del 2015, che controlla i guerriglieri jihadisti presenti in Belgio attraverso una rete di sim card anonime. Si conosce soltanto il suo nome di battesimo, Usman. É un uomo di una quarantina d’anni, boss del quartiere Matongé, la zona afro di Bruxelles.
Nella capitale belga gli scenari sono cambiati: non sono più Molenbeek e Vilvoorde le zone a elevata concentrazione jihadista. Soltanto Molenbeek, a ridosso della fermata della metropolitana Ribaucourt, mantiene intatto il suo ruolo di smistamento di combattenti in partenza per la Siria, ma le cellule deputate a seminare il terrore in Europa si sono trasferite altrove.
Matongé è un quartiere alla moda, un tempo epicentro di conflitti interetnici e sociali, poi trasformato in una delle zone più creative di Bruxelles, non più trasandata e anarchica. Nel quartiere afro sono arrivati potenziali miliziani armati di sim card (370mila esemplari) della compagnia telefonica sudafricana Mobile Telephone Networks, che non richiede documenti agli acquirenti. Schede quindi non registrate che consentono agli uomini di Boko Haram di conversare e progettare attentati sfuggendo ai controlli della sezione antiterrorismo. Usman è uomo all’Avana di un movimento terroristico africano che fa leva sulla tecnologia (sim card soprattutto e internet) per arruolare jihadisti, ad oggi oltre 2 milioni. Davvero poco si sa sui modelli di radicalizzazione attraverso internet e schede telefoniche. Il processo di modernizzazione in Africa è un’arma a doppio taglio: da un lato sta promuovendo lo sviluppo sociale, politico ed economico, ma sta facendo lievitare anche le opportunità di estremismo. I social forniscono ai terroristi uno strumento a basso costo da utilizzare per reclutare, formare, coordinare e comunicare con i nuovi jihadisti. Oggi Al Shabaab, Boko Haram, i movimenti fedeli all’Isis o Al Qaeda, e molti altri gruppi che optano per la violenza in Africa, usano Twitter, Facebook, YouTube e altri social per trasmettere i loro messaggi, ispirare i seguaci e ingaggiare nuovi combattenti a livelli senza precedenti. «La portata praticamente globale degli scambi informativi e dei messaggi velocizza i contatti, favorisce l’anonimato, scongiura ingerenze o censure delle pubbliche autorità racconta Abubakar Rufai, direttore generale dei servizi segreti nigeriani – nelle comunità virtuali i singoli si percepiscono membri di una collettività che condivide interessi, scopi e progettualità».
Prendiamo il caso degli Al Shabaab, autori del recente rapimento della volontaria italiana Silvia Romano. Se da una parte, attraverso una fatwa, hanno posto il divieto assoluto dell’uso di Internet, telefoni cellulari e cavi in fibra ottica in tutto il territorio somalo, al medesimo tempo sfruttano il confinante Kenya, che guida la classifica del continente nero nell’utilizzo della rete, per portare avanti i loro progetti delittuosi compresi appunto i rapimenti. Non a caso gli aguzzini e i carcerieri della volontaria italiana si sono serviti di sim anonime per pedinarla, organizzare il sequestro e comunicare con tutta una serie di fiancheggiatori e ottenere viveri e attrezzature nella foresta di Boni.
Quello della telefonia mobile in Africa è un settore per altro che sembra non conoscere crisi. Secondo un rapporto della International Telecommunication Union (ITU), dal 2000 a oggi gli utenti sono aumentati di quasi otto volte, circa 900 milioni di persone su una popolazione continentale di 1,2 miliardi. In buona parte dell’Africa nera purtroppo non serve alcun documento per acquistare una scheda telefonica. Le sim card, principalmente di compagnie come la francese Orange e la sudafricana MTN, vengono vendute ai semafori, nei mercatini, dagli ambulanti sulle spiagge. L’acquisto in anonimo facilita quindi fenomeni aberranti come lo sfruttamento sessuale dei bambini, la criminalità informatica e la radicalizzazione online. «In quest’ultimo ambito, i social network forniscono a terroristi radicalizzati uno strumento per raggiungere milioni di persone come mai prima d’ora. Hanno nelle loro mani una piattaforma facilmente accessibile attraverso la quale diffondere la propaganda», spiega Houlin Zhao, segretario generale di ITU. La convenzionale scheda dello smartphone diventa anche strumento per raccogliere fondi e finanziare attività malavitose.
E il caso di M-Pesa, progettato in Kenya nel 2007 e che usa il cellulare come un portafoglio. Trasformando la scheda sim e l’utenza del cellulare in un conto bancario in valuta virtuale, M-Pesa consente di spostare e inviare denaro e si appoggia direttamente all’utenza del cellulare, senza necessità di scaricare app. Naturalmente M-Pesa è nato per favorire attività lecite, ma si sta trasformando in un pericoloso strumento delle organizzazioni criminali. Le strategie messe in atto da alcuni governi come Camerun, Ciad, Kenya, Nigeria, Somalia, Sudan o Uganda per contrastare la radicalizzazione sono partite con grave ritardo.
Le sigle della sterminata galassia jihadista godono di un vantaggio e di una diffusione su larga scala e fino a quando non verrà debellato il malcostume della vendita anonima delle schede telefoniche, difficilmente si riuscirà a combattere il jihad nero ad armi pari.