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 2019  gennaio 03 Giovedì calendario

La reinvenzione del passato nelle residenze del XXI secolo

Progettare un intérieur significa appagare materialmente un desiderio. Magari quello di vivere nell’atmosfera di un passato capace di generare nuovi sentimenti. Con superlativo gusto, Laura Sartori Rimini e Roberto Peregalli sanno creare degli interni in cui il passato viene trasfigurato, attraverso «dettagli sofisticati», nella quintessenza di un «appartamento borghese» come afferma l’artista John Currin, di cui i due hanno arredato la casa newyorkese.
L’invenzione del passato, titolo di un loro precedente libro, può essere qualcosa di pericoloso quando diventa finzione, mascheramento. Ma nel caso di Rimini e Peregalli è l’esito di uno studio tassonomico che diventa ambiente ricco di riferimenti e sfumature grazie alla qualità dell’artigianato d’arte utilizzato e alla fusione con quel non so che di gusto preraffaellita, che pare abbiano portato Guido Gozzano o sir John Soane in America… Ciò è quanto emerge da un loro nuovo libro di grande qualità fotografica ed editoriale (Grand Tour. L’anima dei luoghi nei progetti dello studio Peregalli, La nave di Teseo) che presenta dieci progetti, realizzati in varie parti del mondo, uniti dalla fusione tra uno European taste di radici antiche e il genius lociche li ospita.
Nell’equilibrio fragile di ricordi e sensazioni, Rimini e Peregalli impaginano matrimoni tra oggetti e luoghi recuperando materiali del passato per dare sapore al presente. Antidoto alla falsa libertà dell’universo digitale, al grado zero dell’estetica tecnocratica e globalista, il loro spregiudicato riferimento è la patina, lo scandalo del sedimento. Sfidare il presente con un richiamo alla bellezza del frammento è un menù oggi tenuto nascosto nel retrobottega. Lo ritira fuori il loro album di viaggio, quasi una goethiana conoscenza di se stessi attraverso oggetti e luoghi, un Grand Tour alla scoperta di lociparlanti in grado di creare mappe casalinghe di memorie. 
Sotto il sole di Capri si cammina su piastrelle napoletane dell’Ottocento, tra maioliche e cineserie, o ci si riposa su un divano inglese davanti a pareti con ricami Fez: siamo in un’atmosfera pompeiana – sbrecciata, come nel Settecento. Ville Lumière: qui l’abitazione borghese è tra i caffè dell’Esistenzialismo, dove «la casa è una asilo» (Heidegger), lussuoso, però, e coperto di damaschi, cornici a soffitto e porte a bassorilievo in avorio e oro. La dimora in mattoni rossi di Hampstead è una casa Arts and Crafts di Basil Champneys ripulita con cura da Rimini e Peregalli – con quel rischio di «ritorno all’antico splendore» nel quale non dover mai cadere. A Monaco sembra d’essere in una residenza di Augusto il Forte, quello che acquistò le statue del cardinal Albani per tenerle alla rinfusa – così scriveva Winckelmann, un esperto —: qui ci sono le Kore acefale, in bagno!
Tra i palchi di cervi nello chalet metà Ottocento sulla collina del Suvretta presso Saint Moritz si attende che la nevicata cessi per aprire gli armadi rivestiti con un erbario dell’Ottocento e coprirsi di flanella mentre a Gibilterra – tra piatti cinesi alle pareti e un capriccio di azulejos ai piedi del letto – si vive una donchisciottesca reverie dal sapore arabo. Se ti imbarchi fino a Tangeri, ti senti un po’ Delacroix e un po’ Paul Bowles, pronto a partire per un tè nel deserto. 
Ricreare un antico d’atmosfera al ventottesimo piano di un grattacielo di Tel Aviv è un azzardo, ma sicuramente un divertissement per gli architetti – committenza permettendo —, tra papier peint e trompe-l’oeil. Infine, eccoci nella townhouse di Gramercy Park, a New York, invitati da una coppia di artisti americani – lui con predilezione per i nudi di Cranach, lei per i giochi di specchi. C’è dell’erotismo soffuso, patinato. 
Quando il ventenne Goethe entrò nella cattedrale di Strasburgo scoprì che «in quella misteriosa foresta di alberi… stava Dio». Qui «sento», scrisse, non «misuro»; e in quel sento sta l’Architettura. Dureranno nel tempo questi interni d’autore, questi quadri da un arredamento che guardano a Mongiardino? Forse avranno i tempi della scenografia, quelli dettati da uno stupore lungo, ma non eterno. «Molti anni fassi qual felice, in una / brevissima ora si lamenta e dole», scriveva Michelangelo. La sfida all’effimero, alla dilagante ignoranza, non sono l’eterno o la certezza: è la testimonianza che esiste ancora dell’altro.