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 2019  gennaio 03 Giovedì calendario

Intervista a Paola Cortellesi: «Sono il contrario di un’eroina»

Ha spazzato via con la scopa volante la Mary Poppins hollywoodiana. E in questo inizio 2019 la Befana vien di notte viaggia verso i cinque milioni di incassi. Smessi zeppe e tatuaggi di Come un gatto in tangenziale, vincitore del biglietto d’oro, Paola Cortellesi ha conquistato il pubblico delle feste indossando stracci e naso lungo. Finita la promozione del film di Michele Soavi, l’attrice, 45 anni, è a caccia del regalo da appendere nella calza per la figlia di 5. «Sa che può fare solo una richiesta. Ma vuole un introvabile ciondolo e così da giorni mi aggiro per negozi, come migliaia di altri genitori».
Com’è diventata la Befana?
«Mi è piaciuta subito l’idea di un film di fantasia, ne facciamo così pochi».
Ci sono moltissimi effetti speciali.
«È stato un set complicato. Tra la neve vera dell’Alto Adige, di notte fino a venti gradi sotto zero, sedute di trucco da cinque ore e infinite sedute da green screen. Ma sono contenta del risultato, anche rispetto a quel che si può fare da noi: una scena d’azione di un kolossal costa come un intero nostro film».
I bambini sono corsi, anche se qualcuno temeva che il film fosse troppo spaventevole.
«Le favole spesso lo sono: la strega di Biancaneve è terrorizzante ancora oggi, per non parlare di Hansel e Gretel. Ed è fondamentale ci sia un cattivo da battere. Anche se Stefano Fresi, con la barba a treccia, la faccia da bambino e gli abiti sgargianti, non è terribile».
La sua Befana non è la tipica eroina bella e povera.
«È una supereroina al contrario. Mentre Spiderman da nerd diventa bello e muscoloso, la mia maestra si trasforma in una vecchina bruttissima, senza super poteri: giusto una bizzosa scopa volante. Abbiamo spettinato schemi dei supereroi, la mia Befana è imperfetta e un po’ femminista: sa che il successo e gli sponsor del rivale Babbo Natale sono una discriminazione di genere».
Il regalo più bello che ha ricevuto dalla Befana?
«Una piccola macchina da cucire che volevo da tanto, di regali ne arrivavano pochi. Mi svegliavo con il batticuore, correvo in cucina a vedere le briciole dei biscotti che aveva mangiato. Mi emozionava l’idea che un essere speciale avesse pensato proprio a me. Il più bel regalo era l’emozione».
In versione Befana è irriconoscibile. E nel primo assaggio del nuovo film che gira con Riccardo Milani sembra un sassofonista... un ruolo alla Tilda Swinton o Cate Blanchett?
«Non sarà un fantasy ma un film che prova a raccontare la società di oggi. E non sarò un uomo, ma subirò molte trasformazioni. Ho imparato a farlo nelle parodie con la Gialappa’s di Mai dire gol e mi piace moltissimo. Le maschere le vado a cercare, è una conquista potersi trasformare non solo per satira ma al cinema».
Per anni chi passava dalla televisione al cinema ha subito un giudizio severo.
«È vero. Il cinema l’ho fatto in modo continuativo solo in età avanzata. Esprimersi attraverso più mezzi non aiuta. Quando facevo teatro e andavo ai provini per il cinema mi bollavano come "troppo teatrale", dopo il successo in tv invece ero "troppo televisiva". C’era sempre chi voleva ingabbiarti in qualcosa di specifico, il contrario di quel che piace a me».
Ha avuto parecchi rifiuti?
«Tanti, sì. Ma non mi sono mai davvero scoraggiata. Non ho mai avuto il fisico o il volto da fidanzatina d’Italia. A vent’anni ero una ragazzona un po’ sgraziata — a scuola qualche bulletto mi dava della lungagnona — ma non ero il tipo che vinceva ai provini. Così ho dovuto puntare sulla vena ironica. E facendo più cose, qualcuna ne entrava sempre».
Lo spartiacque della sua carriera?
«L’incontro con la Gialappa’s e la Dandini. Mi sono ritrovata nella televisione che ammiravo. È stata una vittoria farne parte, sentire di appartenere a una famiglia».
"La Befana vien di notte" è pieno di valori — no al bullismo, sì all’integrazione — che oggi vengono bollati come buonisti.
«È una parola che mi va stretta. Non sono contro il pensiero critico, ma non credo nel cattivismo. Per una commedia sociale e soprattutto per una storia di ragazzi: il nostro è un gruppo multiculturale come oggi è il nostro paese. I ragazzi devono imparare a convivere attraverso le regole e il rispetto reciproco, facendo squadra».
Ha ascoltato il Presidente della Repubblica?
«Sì, ho ritrovato tutto questo nel messaggio di Mattarella, che ritengo esemplare e necessario oggi. Parlare di valori comuni dovrebbe essere la normalità e invece quel suo discorso diventa quasi rivoluzionario in un tempo in cui chi si comporta bene diventa buonista e chi invece si lancia in offese e invettive sui social, sfogando qualche frustrazione, rappresenta la normalità».
Cosa si aspetta dal 2019?
«Sono già felice. Stiamo girando un film con la squadra del Gatto in tangenziale ed è un privilegio avere la libertà di dare spazio alla fantasia».
Ci sarà mai un sequel con i due protagonisti, lei e Antonio Albanese, che abbiamo lasciato sulla panchina?
«Penso di no. Abbiamo raccontato l’assoluta incomunicabilità tra due pezzi della società che non possono e non vogliono incontrarsi. Magari si farà tra vent’anni, se sarà cambiato qualcosa. Altrimenti è giusto il finale sospeso: tutti immaginiamo come sarà andata a finire, quanto potrà essere durata la loro storia. Quanto un gatto in tangenziale: poco, povero gatto».