La Stampa, 3 gennaio 2019
Record di poveri e di nero al Sud. Sottratti al fisco oltre 15 miliardi
Al Sud non spetta solo il record dei disoccupati e dei poveri ma anche quello dei lavoratori in nero. Una piaga che sembra impossibile sconfiggere. Su 3,3 milioni di «invisibili» che ogni giorno si recano nei cantieri, nei campi, nei capannoni o anche nei sottoscala per prestare la propria attività lavorativa, secondo la Cgia di Mestre ben 1 milione e 300 mila risiedono nel Mezzogiorno.
Calabria ultima della lista
Il primato assoluto spetta alla Calabria dove il lavoro irregolare vale ben il 9,9% del valore aggiunto regionale (contro il 4,1% di Nord-ovest e Nord-est ed il 5,2% della media nazionale), a seguire Campania (8,8%), Sicilia (8,1%), Puglia (7,6%), Molise e Sardegna entrambe al 7%. In valori assoluti svetta la Campania con ben 382.900 lavoratori «sommersi», seguita da Sicilia (312.600), Puglia (235.200) e Calabria (146.000). Numeri enormi che vengono uguagliati solo da altre due regioni italiane tra le più popolose, come Lombardia e Lazio, che contano rispettivamente 484.700 e 411.700 occuparti irregolari, ma dove il peso del nero sull’economia reale è infinitamente minore (rispettivamente 3,9 e 5,4% della ricchezza prodotta ogni anno a livello regionale).
Il giro d’affari
Pur essendo sconosciuti a Inps, Inail e Fisco gli effetti economici che produce questo fenomeno sono pesantissimi: questo esercito di irregolari genera un fatturato che ogni anno supera quota 27 miliardi di euro (77,3 a livello nazionale) sottraendo al Fisco oltre 15 miliardi di euro. Il nero vale infatti oltre 8 miliardi di euro in Campania, 6,3 in Sicilia, 4,9 in Puglia e 2,9 miliardi in Calabria. A rimetterci, segnala la Cgia, «non sono solo le casse dell’erario, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti». Questi lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzi finali molto contenuti. Prestazioni, ovviamente, che chi rispetta la legge non è in grado di offrire.
Detto questo se al Sud il lavoro nero è così diffuso è anche perché il sommerso, quando non c’è in gioco la malavita, funziona da ammortizzatore sociale. Ma se è vero che assicura un reddito a tante persone che altrimenti non avrebbero di che vivere non si può nascondere che sia legato forme inaccettabili di caporalato, sfruttamento e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Più poveri e disoccupati
In generale, come certifica l’ultimo rapporto della Svimez, la condizione delle nostre regioni meridionali resta sempre molto difficile. Tra il 2010 ed il 2018 è infatti raddoppiato il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione, passando da 362 mila a 600 mila nuclei (nel Centro-Nord sono 470 mila) ed in parallelo i poveri assoluti sono saliti a quota 2,4 milioni (11,4% della popolazione contro una media nazionale dell’8,4%) e ben 845 mila famiglie in povertà assoluta contro 700 mila di un anno prima. L’incidenza della povertà assoluta aumenta nel Mezzogiorno soprattutto per il peggioramento nelle grandi aree metropolitane (da 5,8% a 10,1% nel 2017), mentre quella relativa risulta più che tripla rispetto al resto del Paese (28,2% a fronte dell’8,9% del Centro-Nord). Inevitabile adesso guardare al reddito di cittadinanza che come è noto per oltre il 50% verrà assorbito dal Mezzogiorno.