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 2019  gennaio 03 Giovedì calendario

Biografia di Ismail Haniyeh

Ismail Haniyeh, nato ad Al Shati (Gaza) il 4 gennaio 1963 (56 anni). Politico. Leader di Hamas (dal 6 maggio 2017). Già primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese (2006-2014) • «Haniyeh è nato nel 1963 in uno dei luoghi più desolati della poverissima Striscia di Gaza, il campo profughi di Shati, dove le fogne scorrono a cielo aperto e l’immondizia copre ogni spazio su cui non sono state costruite casupole o baracche. Durante la guerra del 1948 la sua famiglia era stata cacciata da quella che adesso è la città israeliana di Ashkelon» (Antonio Barillari). Ha raccontato a Francesca Paci della Stampa una delle sorelle di Haniyeh, Kholidia: «Ismail è stato sempre il preferito. Era il più piccolo, l’ultimo di nove figli, di cui solo due maschi: lo viziavamo tutti. Dato che adorava il pesce, l’intera famiglia mangiava pesce per compiacerlo». «Giocava […] come numero 10 nella squadra di calcio della Società islamica. […] Era […] il “ragazzo della moschea”, un chierichetto che passava le giornate nel tempio del quartiere» (Davide Frattini). Dopo aver frequentato istituti scolastici finanziati dall’Onu, si laureò in Letteratura araba all’Università islamica di Gaza. «Durante questi anni milita nell’organizzazione studentesca legata ai Fratelli musulmani, formazione da cui nascerà Hamas. Nel 1983 si iscrive all’Unione degli studenti dell’Università islamica, una associazione che dirigerà dal 1985 al 1986. In questo periodo si moltiplicano i conflitti tra gli studenti che fanno riferimento a Fatah, guidati da Mohammad Dahlan (ministro uscente degli Affari civili), e quelli iscritti o aderenti ai Fratelli musulmani. Durante la prima Intifada viene più volte imprigionato dalle autorità israeliane: sconta 18 giorni di carcere nel 1987, sei mesi nel 1988 e tre anni a partire dal 1989» (Massimo Donaddio). «Nel 1992 è stato deportato nel sud del Libano assieme ad altri 400 militanti di Hamas e del Jihad islamico. È lì che è diventato un discepolo dello sceicco Ahmed Yassin [cofondatore e capo spirituale di Hamas (1937-2004) – ndr]; è da lì che è entrato nella lista nera di Israele» (Frattini). Tornato dopo un anno a Gaza, vi fu nominato decano dell’Università islamica. «La sua carriera politica ha avuto una svolta nel 1997 in seguito alla liberazione di Ahmed Yassin, che lo nominò capo del suo ufficio. Durante la Seconda intifada la sua vicinanza all’anziano sceicco e l’uccisione da parte degli israeliani di molti leader di Hamas contribuirono alla sua ascesa, tanto che alla morte di Yassin divenne responsabile del movimento a Gaza. Haniyeh si è sempre schierato a favore della partecipazione alle elezioni, e nel dicembre 2005 fu scelto come capolista per le legislative del mese successivo» (Barillari). «Per il movimento islamista la scelta di partecipare alle elezioni rappresentò una svolta fondamentale: per la prima volta Hamas accettava di partecipare al sistema politico creato dagli accordi di Oslo [la «Dichiarazione dei princìpi riguardanti progetti di autogoverno ad interim» sottoscritta dal primo ministro di Israele Yitzahak Rabin e dal presidente dell’Olp Yasser Arafat nella capitale norvegese il 20 agosto 1993 e ratificata ufficialmente il 13 settembre successivo a Washington, al cospetto del presidente statunitense Bill Clinton – ndr], pur senza riconoscerli apertamente. La dirigenza del movimento aveva già discusso questa possibilità nel 1996, ma allora era stata scelta la strada del boicottaggio. Nel 2005 il contesto era cambiato, per via della crisi di Al Fatah e del crollo catastrofico del processo di Oslo. La Seconda intifada era stata combattuta da tutti i gruppi armati palestinesi, ma aveva rafforzato Hamas rispetto ai suoi concorrenti politici. La delusione per l’esito di Oslo aveva premiato politicamente la credibilità di chi vi si era sempre opposto fin dall’inizio, e fin dall’inizio della rivolta Hamas era stata sempre in prima linea nello scontro con Israele. […] L’esito del voto del 25 gennaio 2006 fu […] per molti versi un fulmine a ciel sereno e uno shock per la comunità internazionale: non solo Hamas vinse le elezioni, ma si impose in modo netto, aggiudicandosi quasi il 45% delle preferenze e 72 seggi su 132, mentre Al Fatah si fermò al 41% e a 45 seggi. Hamas ottenne così la maggioranza assoluta dei seggi del Consiglio e la possibilità di formare un governo. Nel marzo 2006 Ismail Haniyeh […] divenne così il primo ministro dell’Anp. […] Gli osservatori internazionali non furono tuttavia gli unici ad essere sorpresi dalla vittoria di Hamas: secondo Khaled Hroub [docente universitario palestinese – ndr] la stessa leadership dell’organizzazione non si aspettava una vittoria così netta, ma puntava piuttosto a svolgere un ruolo di “cane da guardia” nei confronti di Al Fatah. […] Questo tentativo di sperimentare un cauto ingresso nel sistema andò però oltre le previsioni della leadership, e Hamas si trovò ad affrontare direttamente la responsabilità di governare l’Anp, in un momento di grande tensione. Il nuovo premier Ismail Haniyeh – dirigente dalle posizioni pragmatiche che aveva sostenuto l’idea della partecipazione di Hamas alle elezioni già nel 1996 – assunse la carica lanciando appelli di relativa moderazione e cercando di formare un governo di unità nazionale con le altre organizzazioni. […] Fin da subito, tuttavia, gli eventi iniziarono a precipitare, portando ben presto Hamas e Al Fatah in rotta di collisione. Israele dichiarò di non riconoscere il nuovo governo, rifiutandosi di effettuare i trasferimenti di fondi che erano dovuti all’Anp e arrestando decine di esponenti di Hamas, tra cui diversi parlamentari e ministri. La comunità internazionale, almeno per quanto riguarda Stati Uniti ed Unione europea, seguì la medesima linea, sospendendo i finanziamenti o cercando di aggirare il governo di Hamas. Il boicottaggio contribuì a esasperare la tensione fra Hamas e Al Fatah, creando un conflitto politico e istituzionale. La macchina amministrativa dell’Anp, e in particolare i servizi di sicurezza, era costituita da personale vicino ad Al Fatah, poco propenso a collaborare con il nuovo esecutivo. Mentre il governo era boicottato dai Paesi arabi donatori, questi ultimi continuavano a finanziare la presidenza di Abbas e a fornire addestramento ai servizi di sicurezza a lui vicini. Pochi mesi dopo le elezioni del gennaio 2006 Al Fatah rifiutò per la prima volta di prendere parte al governo di unità nazionale proposto da Hamas; nello stesso tempo la presidenza dell’Anp attuò una specie di golpe non violento nei confronti del governo appropriandosi di competenze nel campo legislativo e amministrativo. A partire da quel momento vi fu uno stillicidio tra sostenitori delle due organizzazioni, che lasciarono sul campo diverse decine di morti prima della fine dell’anno. A dicembre, la minaccia di Abbas di convocare nuove elezioni nel caso non si fosse trovato un accordo per il governo di unità nazionale innalzò ulteriormente la tensione, solo temporaneamente smorzata dalla costituzione di un fragile esecutivo d’intesa formato da rappresentanti di quasi tutte le liste elette al Consiglio. Gli scontri fra Hamas e Al Fatah ripresero a maggio, e il conflitto esplose in modo definitivo il mese successivo. All’inizio di giugno quattro giorni di combattimenti a Gaza provocarono 500 feriti; la battaglia si concluse con la vittoria di Hamas. Abbas reagì esautorando il governo di Haniyeh e nominando Salam Fayyad primo ministro, mentre i militanti di Al Fatah iniziarono una serie di rappresaglie contro le strutture e i militanti di Hamas in Cisgiordania. Nonostante la situazione rimanesse tesa, Hamas riuscì a consolidare il suo controllo sulla Striscia di Gaza. Gli eventi del giugno 2007 determinarono dunque una drammatica spaccatura istituzionale, tra la presidenza e il governo dell’Anp, e territoriale, tra Gaza e Cisgiordania. Israele reagì isolando completamente Gaza; il blocco aggravò ulteriormente le condizioni della popolazione residente, nonostante l’espansione del sistema dei tunnel verso l’Egitto, che consentiva di contrabbandare generi di prima necessità. Hamas si dimostrò tuttavia in grado di mantenere l’ordine, senza però rinunciare a colpire Israele con ripetuti lanci di razzi artigianali – i famosi Qassam – verso le località israeliane più vicine ai confini di Gaza» (Gabriele Repaci). Quando, il 14 giugno 2007, il presidente palestinese Mahmud Abbas, in seguito al tentativo violento di Hamas di scacciare Al Fatah da Gaza, dichiarò Haniyeh decaduto dalla carica di primo ministro nominando al suo posto Salam Fayyad, Haniyeh rifiutò di riconoscere validità a tale intervento, in quanto incostituzionale: secondo la legge fondamentale palestinese, infatti, il presidente ha il potere di destituire il primo ministro, ma non può nominare un sostituto senza l’approvazione del Consiglio legislativo, e nel frattempo il primo ministro uscente deve rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione. Confortato dal sostegno del Consiglio legislativo, pertanto, Haniyeh continuò a considerarsi il legittimo primo ministro palestinese, ma di fatto poté esercitare il proprio potere solo sulla Striscia di Gaza, mentre Fayyad – ritenendosi a propria volta il legittimo primo ministro palestinese – comandava di fatto solo sulla Cisgiordania. La lotta intestina tra le due principali formazioni politiche palestinesi proseguì per anni, tra spargimenti di sangue e tentativi di dialogo, fino a quando, il 23 aprile 2014, Haniyeh siglò con gli emissari di Abbas un accordo di riconciliazione tra Al Fatah e Hamas. «Ciò che conta è il superamento della spaccatura originatasi dalla mini-guerra civile del 2007 che vide Hamas guidare nella Striscia di Gaza una rivolta che portò all’espulsione di Al Fatah. Le due parti hanno concordato anche la liberazione dei reciproci prigionieri. Per Haniyeh si tratta di una “riconciliazione nazionale che pone fine alle divisioni grazie ad un comune senso di responsabilità” dovuta al fatto che “la Spianata delle Moschee a Gerusalemme è sotto assalto da parte degli israeliani che vogliono imporre l’ebraismo sull’intera città”. A favorire l’intesa è stato l’indebolimento di Hamas seguìto alla caduta politica dei Fratelli musulmani in Egitto» (Maurizio Molinari). Il 2 giugno 2014, pertanto, Haniyeh si dimise, consentendo la costituzione di un governo di unità nazionale, ma tale esecutivo, dominato di fatto da Al Fatah e non approvato dal Consiglio legislativo (in cui prevaleva e prevale ancora Hamas), ha avuto vita assai travagliata: già nel 2015 Abbas decise di procedere a un rimpasto senza il consenso di Hamas, che a propria volta nell’ottobre 2016 dichiarò decaduto il governo di unità nazionale, richiedendo che a Gaza tornasse al potere Haniyeh; vistasi opporre un netto rifiuto sia dall’esecutivo nazionale sia da Al Fatah, Hamas nominò per Gaza una sorta di esecutivo parallelo, dominato da Haniyeh fino al febbraio 2017, quando gli subentrò il più estremista Yahya Sinwar. Pochi mesi dopo, il 6 maggio 2017, Haniyeh fu nominato nuovo capo politico di Hamas. «La scelta fatta dal Consiglio della Shura afferma la centralità della Striscia di Gaza per il gruppo dirigente del movimento islamico dopo gli anni di guida prima da Amman, poi da Damasco e infine da Doha da parte del leader uscente Khaled Mashaal. Haniyeh, per anni premier a Gaza, rimarrà nella Striscia, dove sarà affiancato da Yahya Sinwar, uno dei fondatori del braccio armato del movimento, eletto […] a capo di Hamas nella Striscia. Flessibile in politica ma ben considerato dal braccio armato, Haniyeh farà da ponte nel movimento tra le correnti più radicali, che fanno riferimento a Sinwar e all’ex ministro degli esteri Mahmoud Zahar, e quelle considerate più pragmatiche, in apparenza maggioritarie, che hanno avviato il percorso che ha portato […] all’annuncio del nuovo Statuto di Hamas, più “moderato” rispetto a quello del 1988, alla presa di distanza dall’organizzazione-madre dei Fratelli musulmani e all’accettazione della nascita di uno Stato palestinese solo nei territori occupati di Cisgiordania e Gaza, senza però riconoscere formalmente l’esistenza di Israele e rinunciare alla lotta armata. […] Haniyeh è chiamato ad avviare relazioni più distese con il regime egiziano di Abdel Fattah Al Sisi, che partecipa attivamente al blocco di Gaza che Israele attua da quando Hamas nel 2007 ha preso il potere nel piccolo lembo di terra palestinese. E forse sarà costretto a un compromesso anche con gli avversari di Fatah per frenare il peggioramento delle condizioni di vita per i due milioni di abitanti di Gaza» (Michele Giorgio). Haniyeh fu infatti uno dei principali negoziatori del nuovo accordo di riconciliazione tra Al Fatah e Hamas stipulato al Cairo, sotto gli auspici di Al Sisi, il 12 ottobre 2017; tale accordo decadde però già nel gennaio 2018, in seguito al rifiuto di Hamas di rinunciare alla lotta armata. Le trattative tra le due principali fazioni palestinesi sono pertanto ancora in corso • Sposato, tredici figli • Da molti anni tre delle sue sorelle, dopo aver sposato dei ricchi beduini, si sono stabilite a Tel Sheva, città beduina nel sud di Israele, dove hanno acquisito la cittadinanza israeliana e hanno cresciuto figli e nipoti, tutti cittadini israeliani (alcuni di essi hanno anche prestato servizio nelle forze armate israeliane). Secondo numerose testimonianze, lo stesso Haniyeh, da ragazzo, avrebbe frequentato regolarmente Tel Sheva, lavorandovi anche come muratore • «Haniyeh […] ha i modi semplici dell’uomo che nel campo rifugiati di Shati continuano a chiamare Abu Abed: il vicino di casa pronto a distribuire l’elettricità dal suo generatore o a partecipare a matrimoni e funerali» (Frattini) • «Il ruolo di premier in questi anni gli ha permesso – a lui nato da una famiglia di rifugiati nel campo profughi di Shati – di diventare rapidamente ricco. Terreni a Gaza per milioni di dollari, ben 13 case acquistate un po’ ovunque nella Striscia. Il figlio maggiore è stato arrestato tempo fa dal lato egiziano del valico di Rafah con una valigia con 15 milioni di dollari in contanti. Era denaro di famiglia o di Hamas? A Gaza scommettono sulla prima ipotesi» (Fabio Scuto) • «Considerato un moderato, nonostante a parole ribadisca l’ideologia che sostiene la lotta armata e la distruzione di Israele» (Lorenzo Cremonesi). «Viene considerato un “pragmatico”, uno con cui “si può parlare” e con cui “si può lavorare”» (Alberto Stabile) • Nel maggio 2011, «dalla Striscia di Gaza, il premier di Hamas Ismail Haniyeh ha condannato come un crimine americano l’uccisione di Osama Bin Laden, definendolo “combattente della guerra santa musulmana”. Per il premier islamico palestinese, la fine di Bin Laden va giudicata come “un assassinio”. E ancora: “Chiediamo a Dio di offrirgli misericordia con i veri credenti e i martiri”, ha scandito» (Giulio Meotti) • «Sia l’Unione europea che gli Stati Uniti mantengono Hamas nella "black list" delle organizzazioni terroristiche. […] "La resistenza non è un crimine: è un diritto". […] Resistenza è una cosa, terrorismo è altro. "Ogni atto di resistenza viene denunciato come terrorismo. E allora cosa sono le case distrutte da Israele, i civili uccisi nei bombardamenti? Noi non possediamo né carri armati né aviazione…". Israele parla di diritto di difesa. "No, questo è terrorismo di Stato". Ad Hamas la comunità internazionale chiede di riconoscere lo Stato d’Israele. "Quale Israele dovremmo riconoscere? L’Israele del 1917? Del 1936? Del 1948? Del 1956? O l’Israele del 1967? Quale confine e quale Israele? Israele deve riconoscere prima lo Stato palestinese e le sue frontiere, e poi sapremo di cosa stiamo parlando". In Israele si è aperto un dibattito sullo Stato binazionale. Qual è in proposito la sua opinione? "La nostra causa, quella per cui ci battiamo, è la nascita di uno Stato palestinese, e non una sorta di annessione simulata, addolcita da qualche concessione da parte israeliana"» (Umberto De Giovannangeli).