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 2019  gennaio 02 Mercoledì calendario

Ai cinesi piacciono i cetrioli di mare

In Cina li adorano. Per la cucina orientale sono una prelibatezza e la cultura popolare li vuole potenti afrodisiaci. Così, con l’aumentare della classe media nella terra del Dragone, i cetrioli di mare sono sempre più richiesti, tanto che negli ultimi anni la loro pesca è diventata sfrenata e ha messo a rischio l’esistenza stesse delle oloturie nei mari di mezzo mondo.
Anche l’Italia, nel febbraio del 2018, è intervenuta per tutelare l’ecosistema e la biodiversità con un decreto che vieta di pescare, detenere a bordo, trasbordare e sbarcare esemplari di cetrioli di mare fino a dicembre 2019. Misure di tutela sono state prese anche in altri paesi, come il Marocco, uno dei principali fornitori della Cina, e in tante altre nazioni si cerca di difendere questi echinodermi che vivono nei fondali marini di tutto il mondo. Parallelamente, vista la domanda orientale e prezzi che arrivano fino a 400 euro il chilo, si studia come allevare questi animaletti marini dalla forma cilindrica, con tentacoli sulla bocca e file di pedicelli sul corpo. Somigliano proprio all’ortaggio e sono parenti stretti di stelle marine e ricci di mare.
La Norvegia, che in campo ittico è stata capace di costruire una solida industria del salmone, ora ha fiutato il business dei cetrioli di mare. Le oloturie sono diffuse lungo l’intero litorale norvegese, così come i ricci di mare e i granchi. Finora, però, non sono state commercializzate, ma ci sono alcune aziende nordiche che stanno cercando di capire come allevare i cetrioli di mare e avviarne l’esportazione. A studiare la situazione è impegnata Møreforsking, una società di ricerche applicate, che punta a fare del «ginseng di mare», il prodotto è apprezzato per i suoi benefici per la salute e l’alto contenuto di vitamine, minerali, aminoacidi e calcio, una nuova colonna dell’industria ittica di Oslo. In Cina sono state fatte alcune spedizioni di prova e il cetriolo di mare norvegese, da un punto di vista gustativo, è stato promosso dai consumatori orientali, anche perché è di grandi dimensioni, con un colore rosso chiaro, sapore delicato (dicono si avvicini a una versione neutra delle ostriche) e consistenza simile al polpo.
«Il cetriolo di mare è oggi uno dei prodotti più costosi nei mercati del pesce», ha spiegato Margareth Kjerstad, manager di Møreforsking. «Siamo riusciti a far crescere i cetrioli di mare in cattività, ora il trucco è capire lo sviluppo dell’animale, da quando le uova si schiudono fino all’età adulta». Il tema della riproduzione è cruciale per avviare allevamenti industriali, così come ricreare l’ambiente adatto per la crescita in cattività. «Ancora», ha ammesso Kjerstad, «non ne sappiamo abbastanza».
Frank Jakobsen è uno dei massimi referenti del Norwegian Seafood Research Fund, ha spiegato che in passato sono stati finanziati progetti per fare del cetriolo di mare una risorsa marina da utilizzare in chiave produttiva. Il problema principale, però, è stato incontrato nelle attrezzature di raccolta: attualmente le oloturie restano intrappolate nelle reti a strascico per i gamberetti, ma queste tecniche di pesca danneggiano i fondali e sono sottoposte a permessi. Inoltre, in Norvegia i cetrioli di mare si trovano solitamente a una profondità di 200 metri: se in altri paesi per pescarli è sufficiente tuffarsi (come in Marocco), in Scandinavia bisogna pensare a imbarcazioni apposite. «Esiste un mercato per il cetriolo di mare», ha affermato Jakobsen, «c’è un potenziale, ma ci sono ancora nodi da sciogliere». E oltre alla raccolta c’è la sfida della conservazione per poter esportare queste creature: si pensa al congelamento o alla stabilizzazione in salamoia.
Anche dall’altro capo del mondo si sta investendo nell’industria dei cetrioli di mare. In Australia, nel Queensland, un ricercatore dell’università della Sunshine Coast ha ottenuto un finanziamento milionario per sviluppare l’allevamento di questo animale acquatico. «Le riserve di cetrioli di mare», ha osservato il professor Paul Southgate, «si sono notevolmente ridotte nell’Oceano Indiano e nell’Oceano Pacifico a causa della forte richiesta nel Sud-est asiatico. Useremo animali selvatici per deporre le uova, alleveremo le larve e svilupperemo la tecnologia per far crescere i giovani esemplari da cinque millimetri fino alle dimensioni richieste dal mercato, quando hanno circa due anni». Il progetto mira a sviluppare l’industria nelle Filippine e in Vietnam, cercando di coinvolgere gruppi di donne e piccole famiglie di pescatori di queste località, ma anche l’Australia settentrionale potrebbe trarne benefici nell’ambito di una futura operazione commerciale con la Cina. Progetti simili sono in corso in Papua Nuova Guinea e alle Mauritius.