il Fatto Quotidiano, 2 gennaio 2019
Sono spariti altri sei Munch
Mamma, ho perso il Munch. Anzi, sei Munch. O meglio, altri sei Munch. Non c’è pace per il pittore norvegese, figura chiave dell’espressionismo, la cui eredità è stata oggetto di numerose rapine anche in passato. La settimana scorsa, in seguito a un’inchiesta giornalistica di Dagbladet – uno dei principali quotidiani norvegesi –, il museo Munch di Oslo ha dovuto ammettere che dalla collezione Stenersen, che è sotto la responsabilità dello stesso museo, sono sparite altre sei opere dell’autore de L’Urlo: La morte di Marat, Ritratto della signora R., la litografia Omega piange, Gråtende ung kvinne ved sengen (Giovane donna piange a letto), Tiergarten – Berlin e la testa di bambino Åge Christian Gierløff realizzata da Munch nel 1916. Sei opere di cui si ignora totalmente la sorte.
Altre sei, perché la stessa pinacoteca un anno fa ha dovuto confessare allo stesso quotidiano di non avere notizie di 26 grafiche della stessa collezione. Repetita non iuvant, a quanto pare. Anche perché, secondo il giornale, a mancare sarebbero invece ben 46 pezzi, 34 dei quali appartenenti al celebre pittore. Catalogati nei registri, ma assenti dalla collezione.
Com’è possibile, non si sa, ma il direttore del Museo, Stein Olav Henrichsen, ha ricordato che si sta costruendo una nuova pinacoteca per preservare meglio le opere, ma anche che al momento, per mancanza di fondi, è esclusa una revisione dell’intera collezione. Si sta procedendo alla digitalizzazione e alla pubblicazione online del patrimonio, non soltanto di Munch, ma per adesso di più non si riesce a fare.
In realtà la nuova struttura affidata allo studio spagnolo di architettura Herreros doveva essere terminata cinque anni fa, ma – sembra quasi di essere in Italia – una disputa politica a livello locale ne ha posticipato l’apertura almeno al 2020. E nel frattempo? “Il modo in cui le autorità di Oslo hanno gestito questo dono artistico fa venire da piangere, è una tristezza”, ha dichiarato a Dagbladet Elisabeth Munch-Ellingsen, la pronipote di un fratello del pittore, che spesso fa da portavoce alla famiglia. Del “dono artistico” fanno parte, anzi facevano parte oltre 900 opere, che l’imprenditore e mecenate norvegese Rolf E. Stenersen affidò al municipio di Aker nel 1936, qualche anno prima che questo si fondesse con quello di Oslo. Solo nel 1994 la collezione è passata alla pinacoteca che prende il nome dal collezionista e che, nel 2010, è stata integrata nel museo Munch. Purtroppo, nel frattempo, le opere ne hanno passate davvero troppe: durante gli anni ’50, ’60 e ’70, per esempio, furono esposte al fumo di sigarette e alla schiuma della birra, perché custodite – si fa per dire – nella città studentesca di Sogn. Proprio la Student Society di Oslo, nell’ottobre 1973, dichiarò che dal ristorante del Villaggio era stata tagliata dal telaio e rimossa la celebre Storia di Munch, ritrovata poi in un sacco dei rifiuti. Non solo: altre “tre opere sono state prelevate da uno studente ungherese. Quando il caso è stato scoperto, lo studente aveva già lasciato il paese e si era iscritto alla legione straniera francese”, racconta oggi Dagbladet. Sarebbe il caso, secondo i giornalisti che stanno incrociando archivi e registri anche presso i musei stranieri, di intervistare chi ancora vive tra gli studenti dell’epoca. “Se qualcuno sa qualcosa, è giusto che ce lo comunichi”, l’appello del direttore Henrichsen. Non tanto per il valore economico – circa 4,2 milioni di euro – quanto per quello culturale. In realtà non tutte le sparizioni sarebbero colpa degli studenti o della cattiva gestione pubblica: il mecenate Stenersen, un uomo molto ricco ma anche molto distratto, avendo pieni poteri sulla collezione appena donata, potrebbe aver ceduto qualche opera registrando – sostiene oggi il nipote – la cifra pattuita sul tovagliolo di un ristorante poi andato perduto.
Povero Munch, verrebbe da dire. Il 22 agosto 2004 tutto il mondo rimase a bocca spalancata – come nel dipinto – quando due uomini mascherati e armati fecero irruzione nel museo di Oslo in pieno giorno e, davanti ai visitatori, portarono via proprio L’Urlo e La Madonna. La spasmodica caccia al tesoro per gli inquirenti durò due anni e nove giorni.
Più che un’eredità, un’odissea, insomma, giunta fino a noi e – si spera – destinata a concludersi presto. E questa volta non basterà eliminare dal registro della collezione nomi e numeri delle opere scomparse.