La Stampa, 2 gennaio 2019
Intervista a Filippo Tortu, l’uomo che ha battuto Mennea e che si allena come Ronaldo
Nel 2018 Filippo Tortu ha superato Mennea, nel 2019 rincorre Ronaldo per dimostrare che l’atletica azzurra non è come sembra.
Inizia una nuova stagione, che cosa è cambiato?
«Di mia iniziativa, tutti i pomeriggi, dopo l’allenamento, vado in palestra. Un extra».
Perfezionismo alla Ronaldo?
«Esatto, la nuova routine è nata per imitazione dopo il suo arrivo alla Juve. Se per lui il lavoro di rifinitura ha funzionato così bene dovrà fare qualche effetto anche su di me».
Lui lavorava così pure prima.
«Si sapeva sì, ma sembrava quasi retorica del personaggio, ora tutto il mondo Juve ne parla in questi termini quindi non era letteratura: averlo davanti mi ha fatto notare la sua unicità, la cura dei dettagli»
Le piacerebbe incontrarlo?
«Ovviamente sì, anche se dovessi scegliere farei volentieri una chiacchierata con Chiellini, mi sta stupendo. Non deve essere stato facile ereditare la fascia di Buffon».
Che cosa gli chiederebbe?
«Come fa a essere in continuo miglioramento e ora è pure diventato leader, sarebbe interessante parlare di come uno sportivo può evolvere»
Dicono di lei: è fragile, gareggia poco...
«Magari ha ragione chi lo dice: faccio poche uscite per scelta. Avessi corso tra il record italiano dei 100 metri e gli Europei sarebbe stato peggio. Se sei capace di gareggiare, vale alla prima data della stagione e all’ultima e se non sai reggere la pressione anche dopo 500 gare non sarai pronto».
Non è mai cambiato il suo modo di affrontare le sfide?
«No, le vivo allo stesso modo da che sono cadetto. Se a 15 anni hai davanti la prima finale di un assoluto è la gara della vita. Naturalmente cresce il contesto e anche io però l’atteggiamento mentale è identico».
Suo padre ha detto: «Battere il record di Mennea è stato come buttare giù un muro, Filippo si è ritrovato poi con i calcinacci addosso».
«Il post 9”99 è stato faticoso, l’attenzione che ha generato mi ha fatto piacere, spero resti, ma ha influito. Anche per questo ulteriori competizioni mi avrebbero solo stancato».
Al primo risultato mancato è partito il tormentone: «Si allena con papà». È un limite?
«Rispetto i percorsi altrui e credo nel mio: io e mio padre siamo riusciti in obiettivi che in Italia non hanno centrato in tanti. Dico solo questo».
Che cosa resta del primato?
«Sono felice che la famiglia e lo staff fossero lì, è un risultato che ho raggiunto proprio perché sostenuto e aiutato. Poi ho subito lasciato andare quel tempo: deve essere solo il mio trampolino di lancio. Mi sono posto nuovi obiettivi».
Il prossimo?
«Tornare sotto i 10” con più margine e più frequenza».
Non cambierebbe proprio nulla della finale agli Europei chiusa al 5° posto?
«Terrei approccio e tecnica, la farei un decimo più veloce. Sto leggero, mi accontento».
Nel 2019, 100 o 200 metri?
«Quest’anno li si fa tutti e due, siamo determinati, non si sceglie. Cerco il personale in entrambe le distanze».
Non crede che i 200 le diano più margini per un risultato internazionale?
«Gli Europei hanno dimostrato che non è così, Desalu ha piazzato un tempo super, 20”13, ed è arrivato quinto».
Tanta concorrenza non è disperante per uno sprinter?
«Al contrario, l’idea è essere parte di un mondo di altissimo livello e potersela giocare con chiunque».
Chi le piace oggi?
«Sui 200, l’americano Lyles: ha la mia età e ha già fatto cose straordinarie come il 19”65. E poi è una bella persona».
Conta in pista?
«I risultati sono la conseguenza del suo modo di essere».
Vale anche per lei?
«Sì, i miei successi sono frutto della mia educazione, dell’ambiente in cui vivo, del mio Paese... sono molto italiano».
In che senso?
«Credo che essere italiano dia una marcia in più».
Perché?
«Ogni volta che penso alla nostra voglia e alla creatività, al patrimonio che abbiamo, mi rendo conto che nessun altro posto ha questo bagaglio. So che posso mettere questo... genio nella corsa».
Il Paese sta sfruttando la genialità ereditata?
«Siamo sempre propensi a criticarci... il genio qui c’è, resta e si vede».
Suo fratello, velocista anche lui, si è presentato alle Comunali con una lista civica di centrodestra. Come lo vede un politico in famiglia?
«Bene, lui è molto coinvolto e sa farsi ascoltare: da bambino ha preso i libri del nonno e li ha venduti in spiaggia, ha fatto discreti soldi poi quando è stato scoperto sono stati dolori però già dimostrava intraprendenza e carisma».
L’italianità la esalta, mai pensato di allenarsi anche all’estero, alla Paltrinieri?
«Ipotesi affascinante, però mi trovo così bene qui che non mi immagino altrove».
Dove vivrebbe per assaggiare un’altra cultura?
«In Giappone, a maggio ci sono i mondiali di staffetta e sono felice di starci un po’. Se dovessi poi scegliere dove vivere da grande sarebbe un posto con il mare, qui in Brianza il mare non è bellissimo. Meglio la mia Sardegna».
Gusti retrò: ci è o ci fa?
«Mi sento fuori generazione, non solo per Patty Pravo o Conte. Da quando ero alle medie, gli amici, gli stessi di oggi, mi prendono in giro. Mi vesto camicia e maglione, jeans strappati o pantaloni a vita bassa non fanno per me. Gli altri vanno a ballare, io preferisco una cena di gruppo»
Una singola cosa super contemporanea che le piace?
«Urca... direi Netflix».
L’atletica ha cambiato direttore tecnico e creato la Super élite di cui lei fa parte.
«L’atletica è come l’Italia: più facile criticare che vedere i progressi, le possibilità ci sono e il lavoro più grande spetta agli atleti, non al sistema».
Non si respira un’altra aria?
«C’è più voglia. Gli Europei sono stati una delusione in un anno straordinario: due atleti sotto i 10”10 nei 100 metri, Crippa in evidenza, Vallortigara oltre i 2 metri. C’è un movimento, il lavoro si vedrà».
Lei e Tamberi siete i due leader della Nazionale. Caratteri opposti, esistono aspetti comuni?
«Siamo testardi e ci piace ridere. Nello sport è fondamentale, senza ridere sarebbe un mestiere impossibile».
Proposito per il 2019.
«Continuare così, non farmi cambiare e restare chi sono. Forse non corro troppi rischi».