La Stampa, 2 gennaio 2019
I vent’anni dell’euro
Ci si poteva comprare la casa con rate di mutuo più basse; ma i titoli di Stato tanto presenti allora tra i risparmi degli italiani fruttavano assai meno. In concreto, questi furono i cambiamenti principali di vent’anni fa; erano gradualmente maturati nei mesi precedenti al gennaio 1999, quando la creazione dell’euro parve ai più un evento distante, cerimoniale.
Ben altro fu il trauma del cambio delle banconote nei nostri portafogli, tre anni dopo, nel 2002. Nel 1999, prevaleva la curiosità, mista all’incertezza che sempre accompagna i cambiamenti. Facevamo ancora i conti in lire – in milioni per lo stipendio mensile o per il prezzo dell’auto – eppure da quel momento avevamo in tasca una moneta forte, non più debole.
Dall’autunno 1996, inizio della corsa verso l’euro, al gennaio 1999, i tassi di interesse sui prestiti alle famiglie si dimezzarono (con un calo della rata di mutuo di circa un terzo). In pochi anni, dal 1997 al 2000, il numero di compravendite di alloggi crebbe del 50%. La storica preferenza degli italiani per la casa in proprietà ricevette un ulteriore impulso. Chi i soldi li teneva da parte, però, si era abituato al guadagno facile di prestarli allo Stato. BoT, BTp e CcT avevano fornito rendimenti alti e sicuri. E invece andando verso l’euro nel giro di tre anni i tassi medi calarono dal 12% al 4%. Alcuni si sentirono perfino defraudati.
Avere una moneta forte comporta cambiare abitudini. Per l’Italia il passaggio fu brusco e non tutti ci si seppero adattare da subito. Era per esempio difficile spiegare a una persona anziana che il minor rendimento dei suoi Bot era compensato dal minor rischio di dover pagare tasse più alte in futuro per soccorrere il Tesoro in difficoltà.
Nel 1995 il 20% della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane era investito in titoli di Stato. Vent’anni dopo siamo a circa il 3%, cifra che tuttavia inganna perché riguarda solo il possesso diretto, mentre vi si dovrebbe aggiungere quello indiretto attraverso i fondi di gestione del risparmio.
Nel mondo di oggi una diversificazione del risparmio sarebbe avvenuta comunque. Le scelte di investimento delle famiglie italiane avevano già preso a cambiare con la liberalizzazione dei movimenti di capitale del 1990. All’interno del Paese le banche hanno spinto verso l’acquisto di obbligazioni proprie. Carlo Azeglio Ciampi vedeva nell’ingresso nell’euro «una vittoria della passione civile». Ma del beneficio per il Tesoro i governi successivi hanno usato male, quasi sempre per aumentare le spese. Molti imprenditori non hanno colto l’occasione del minor costo del credito bancario per innovare più in fretta.
Vent’anni fa, dal vincolo della moneta unica europea si sperava un energico impulso all’Italia perché divenisse più efficiente. I mali che oggi qualcuno vorrebbe attribuire all’euro cominciavano a mostrarsi. Già nella seconda metà degli Anni 90, diceva allora un personaggio non sospetto di simpatia verso la moneta unica, Antonio Fazio, si erano «fatte evidenti le difficoltà dell’economia italiana a tenere il passo dello sviluppo dell’economia mondiale e di quella europea».