Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  gennaio 02 Mercoledì calendario

La Cina rallenterà ancora. Le previsioni per il 2019

In questo momento, la Cina è la nazione apparentemente più ricca e stabile del Pianeta. Apparentemente. In realtà, le sfide che incontra in questo 2019 partono dalla crescita economica rallentata, passano per una difficile guerra commerciale con l’America che dura da 100 giorni, arrivano a un rapporto complesso con i vicini asiatici, ma, soprattutto, affrontano un controllo sociale interno senza precedenti che svela il volto corrucciato di un Paese senza flessibilità. Tutto questo è stato oculatamente evitato nel discorso di Capodanno del leader a vita Xi Jinping. «Il ritmo delle riforme non languirà – ha promesso – anzi, le porte si apriranno sempre più al mondo». Il fact-checking conferma che per gli investitori stranieri l’accesso al mercato resta difficile. Xi ha elencato 100 misure applicate nel 2018, senza mai parlare della guerra commerciale con Trump. L’economia, ha detto, resta dentro un gamma accettabile.
La verità è ben diversa. La Banca Mondiale prevede che quest’anno la crescita cinese rallenterà al 6,2 per cento. Risultato robusto per gli standard mondiali, ma è la più debole espansione dal 1989. Una data questa che risuona nella memoria del mondo intero perché fu l’anno della strage di Tienanmen. Xi Jinping non vuole se ne parli. Ma il mondo e i dissidenti ricordano a Pechino che sul fronte dei diritti si sono fatti pochi progressi. Le proteste di Hong Kong rivelano solo una minima parte del nodo che la Cina deve affrontare.
A marzo si celebrano 30 anni di legge marziale in Tibet, ma anche i 60 anni di esilio del Dalai Lama. E si ricordano i 20 anni di repressione della setta dei Falung Gong, un milione di seguaci scomparsi e «rieducati». Il tutto senza dimenticare il milione e 100 mila uiguri, minoranza musulmana dello Xinjiang che al momento sono in «campi educativi» a cantare canzoni comuniste.
Il 1° ottobre 2019 si celebrano i 70 anni della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Occasione di propaganda e sfilate, certo, ma per alcuni è il momento di ricordare che «la sincerità naive del popolo cinese di quell’epoca è stata tradita», come disse l’astrofisico Fang Lizhi poco prima del massacro di Tienanmen il 4 giugno dell’89.
Anche per questo le misure di sicurezza in Tibet e nello Xinjiang sono aumentate. Anche per questo si sono susseguiti in questi mesi arresti di avvocati, personale delle Ong e militanti per i diritti civili. In questi giorni è finito in carcere l’autore di un romanzo erotico gay; una cerimonia di premi cinematografici è stata oscurata in tv perché un vincitore è a favore dell’indipendenza di Taiwan; e il leader dell’Interpol cinese è in prigione da settembre senza capi d’accusa. Tutto ciò, nel 2019, promette di peggiorare. Il quotidiano nazionale dell’Esercito Popolare di Liberazione lo scrive nell’editoriale di Capodanno: «Rafforzare la preparazione per la guerra sarà una delle priorità del 2019». I militari promettono che la preparazione sarà «in tutte le direzioni». Comprese le minacce interne.
Così la Cina cresciuta sotto la guida di leader focalizzati sull’economia come Jiang Zemin e Hu Jintao, ora ha un leader più simile a Mao. Xi, che nel 2017 appariva come il paladino della globalizzazione, si rivela in una luce diversa. La differenza con altri autocrati contemporanei come Mohammed bin Salman, Recep Erdogan o Rodrigo Duterte è che Xi Jinping è più organizzato e lucido. Dopo pesanti purghe, ha consolidato il controllo personale del politburo, a dicembre ha promosso a generali 38 colonnelli fidati, controlla la Commissione sulla sicurezza nazionale e anche l’apparato burocratico statale. Società civile, media, Internet, religioni e università hanno subito pesanti restrizioni. Il dibattito ideologico viene scoraggiato. I «pensieri» di Xi sono ora incorporati nella Costituzione.
Xi Jinping può continuare a far credere che questo è il prezzo per diventare una superpotenza. Ma gli anniversari di quest’anno offriranno un’occasione particolare. I dissidenti in Cina usano il patriottismo come mantello per nascondere le critiche all’establishment. E così, come accadde a Tienanmen, a Pechino ora si teme che la rabbia antiamericana scaturita dalla guerra commerciale possa all’improvviso rigirarsi contro Xi e il Partito.