la Repubblica, 2 gennaio 2019
Una mostra per i 50 anni di Schumacher
Nessuno posa fiori, tutti vogliono parlarci. Col bimbo che nemmeno cammina, e però gioca con una macchinina. Con quello al volante di una Fiat 500 rosso fiammante, già capitano del futuro. Poi sul kart, quindi adolescente che insapona le gomme e i fianchi di un’automobile e dopo riposa esausto d’amore su una sdraio al sole. Lo sbatacchiare della pellicola del Super 8, quella luce lì, lo scorrere addormentato del Reno fuori. Si sente tutto in questo nulla. Sì, è fortissimo il rumore di Schumacher. Al Motorworld di Rheinland, in un hangar alla periferia industriale di Colonia dove sorgeva l’aeroporto di Butzweilerhof, la collezione privata dell’ex pilota tedesco diventa la grammatica interiore di una generazione, la cattedrale dei ricordi di un uomo che non smette di sgommare dentro la storia di ciascuno. Non è un posto qualunque, questo. A pochi km da qui c’è Kerpen, la città dove il sette volte campione del mondo è nato 50 anni fa e dove ha iniziato coi kart sulla pista gestita da papà Rolf.
Jurgen, 48 anni, elettricista di Bonn, cammina col figlio Thomas, 14 anni, come in una via crucis di trofei, caschi, tute, magliette, guanti, cappellini, foto, video e naturalmente le monoposto guidate in due decadi di F1, dalla Jordan con cui debuttò nel ‘91 alle Benetton, le Ferrari, le Mercedes. «La sua è anche la mia vita». Questo non è un cimitero, è un bisogno reciproco di non lasciarsi. È una trama di lamiere su 1000 mq che da giugno scorso «ha accolto 75mila visitatori» ci spiega Andreas Dünkel, il Ceo di Motorworld Group. «Siamo entusiasti dei numeri, la mostra è diventata una sorta di attrazione pubblica e un enorme successo».
Un’attesa immensa.
Di qualcosa di indicibile. Una caduta con gli sci in Francia, a Meribel, il 29 dicembre 2013, ha ricoperto Schumi di silenzio. Ma lui non va via. Noi non andiamo via. «Ho sempre avuto una vita oltre la F1, ora posso viverla intensamente» dice in un’intervista dopo il ritiro dal Circus nel 2012. Si ascolta in cuffia in una sorta di muretto che replica quelli veri in pista. Fanno un effetto strano quelle parole, adesso. Lo fanno tutte, insieme alle registrazioni del rumore dei motori di tutte le sue auto, prima più rochi e bassi, poi più lievi e ariosi. Tutto il sound di Schumi: «Sono una persona fortunata. Ho vinto tanto, ma sono sempre rimasto aperto». Anche dietro le mura della sua tenuta a Gland, in Svizzera, dove viene curato da un’équipe medica e protetto dalla moglie Corinna, filtrato dalla fedele manager Sabine Kehm, rimane qualcosa di troppo spalancato per non essere, pur con pudore, attraversato. Tante speculazioni, spesso solo tali. Ma anche i moti insopprimibili del cuore: «In genere sono cauto nel parlare, ma è vero che ho visto il Gp del Brasile in Svizzera con lui» ha rivelato il presidente della Fia Jean Todt, l’uomo col quale Schumi ha condiviso i suoi anni migliori in Ferrari. «Siccome gli voglio bene spero che possa succedere qualcosa. So quanto lotti, quanto abbia una forte determinazione e quanto sia meravigliosa la famiglia che ha intorno» aggiunge l’ex presidente del Cavallino Luca Cordero di Montezemolo: «Era giovane, forte, cruciale. Il nostro eroe, la sua vera dote era la vicinanza al team. La mia e la sua vita, anche privata, si sono sempre incrociate. Mi manca tantissimo».
Un vuoto brulicante. Domani è il suo compleanno. “Michael 50” è il modo di cerebrarlo che ha scelto Maranello, con una mostra al Museo Ferrari in collaborazione con la Fondazione Keep Fighting, l’onlus della famiglia nata due anni fa. In undici anni con la Rossa, dal 1996 al 2006, cinque titoli piloti e sei per la Scuderia.
Nelle sale del museo il viaggio dentro quelle stagioni favolose.
Verrà lanciata anche una app per accedere al suo mondo: immagini, interviste, persino degli Schumoji. Le faccine dove tutti vogliono disegnarci un sorriso. Sebastian Vettel, il pilota tedesco della Ferrari: «Il mio eroe, mi mancano i suoi consigli, è il più grande di sempre, gli auguro di continuare la sua battaglia e di vederlo tornare un giorno». Lewis Hamilton della Mercedes, cinque volte campione del mondo: «Anche se dovessi conquistare il record di vittorie, lui rimane il più grande di tutti i tempi». La processione degli altri: «Un maestro» (Felipe Massa); «Un privilegio la battaglia con lui» (Fernando Alonso); «Il più grande rivale» (Jacques Villeneuve); «Anni incredibili» (Mika Hakkinen); «Dominante» (David Coulthard); «La star più grande» (Flavio Briatore). «Ho così tanti ricordi con lui, i più belli quelli lontano dalle piste, a giocare a pallone, a cantare e suonare la chitarra» ci racconta l’ex pilota Jarno Trulli, 44 anni. «Michael ha dovuto proteggersi nel paddock, ma fuori era generoso, spensierato.
Ha cambiato il nostro sport, ha segnato un’era ed è diventato Schumi, un’icona, anche perché ha vinto con la Ferrari.
Impossibile fare paragoni. Ha vissuto sempre ai limiti, è rimasto vittima di un incidente così sciocco. Questo è il peso della vita».
La sua volatilità. L’ex ferrarista Giancarlo Fisichella: «Un avversario incredibile, mi ha dato tanto, quelle poche volte che gli sono arrivato davanti mi ha reso ancora più orgoglioso perché lui è un grande campione. Vorrei riabbracciarlo, e raccontargli quello che sta facendo il figlio».
Mick, 19 anni, il predestinato. Ha vinto il campionato di Formula 3, nel prossimo correrà in F2: «Sono felice di essere il figlio del più grande pilota della F1 di tutti i tempi, lo ammiro. E anche se talvolta è difficile, è quel che è». È questo compleanno dolente, eppure una festa.