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 2019  gennaio 02 Mercoledì calendario

La storia del Vasi di fiori di Jan van Huysum

L’ultima prova è una fotografia a colori. Si vede la tela, “Vaso di fiori”, in primissimo piano. È datata 2011 e l’ha portata a Firenze un avvocato tedesco fissando il prezzo per il riscatto: 500 mila euro per riavere a Palazzo Pitti l’opera di Jan van Huysum, celebre artista olandese vissuto tra il Sei e il Settecento. Un bello sconto, se si considera che pochi anni prima, un altro avvocato tedesco, emissario di misteriosi “detentori” dell’opera, ne aveva chiesti due milioni e mezzo.
Questa è una storia di guerra e di ferite aperte, di lancette che vanno indietro nella memoria.
Anno 1944. La Wehrmacht sta ripiegando e i soldati nazisti saccheggiano le opere d’arte in un’Italia devastata dalle bombe e dalla fame. A Montagnana, nella campagna fiorentina, villa Bossi Pucci era diventata nel 1943 il rifugio di emergenza per un lotto di opere traslocate dagli Uffizi e da Palazzo Pitti per evitare i bombardamenti.
Dodici soldati al servizio della Kunstchutz, la sezione che avrebbe dovuto tutelare le opere d’arte dall’arrivo degli americani e che invece ne fa razzia, arrivano alla villa. Sono incaricati di trasportare alcune opere a San Leonardo di Passiria, in provincia di Bolzano.
Nel tragitto però i tedeschi rubano ai tedeschi, alcuni soldati all’insaputa dei comandi sottraggono dei dipinti, un bottino di guerra. Un militare da una cassa rimasta aperta ruba il “Vaso di fiori”. È una piccola tela di grande valore: per anni si perdono completamente le tracce. Sembra sparita nel nulla.
La cerca anche Rodolfo Siviero, il monument man italiano, l’ex agente segreto del servizio segreto mussoliniano poi passato con i partigiani che per trent’anni nel dopoguerra rintraccia e riporta «a casa», nei musei, svariati dipinti.
Siviero dà la caccia anche alle opere scomparse dalla grande villa di Montagnana e il «Vaso» di Jan von Huysum è per lui quasi un’ossessione. Nel 1962 pensa di aver trovato una pista buona quando recupera a Pasadena, in California, in casa di un ex militare nazista, Johann Meindl, due tavole del Pollaiolo.
Attraverso testimonianze viene a sapere che alcuni dipinti trafugati a villa Bossi Pucci sono nascoste a Monaco a casa di un altro commilitone di Meindl, Hans Lindermayer che lavorava in un negozio di macelleria nella città tedesca. A casa di Hans vengono recuperati un autoritratto di Lorenzo di Credi e il Cristo Deposto del Bronzino. Siviero ritiene che lì si possa trovare anche il “Vaso di fiori": ma sbaglia. Il quadro non c’è.
Ricompare all’improvviso nel 1991, dopo la caduta del muro di Berlino, quando qualcuno contatta l’Alta Pinacoteca di Monaco. Proprio la città indicata da Siviero. La famiglia che tiene in ostaggio l’opera vuole restaurarla per venderla. Hanno già contattato la casa d’asta Sotheby’s. Una restauratrice tedesca avverte la soprintendenza di Firenze: «Il quadro che cercate è qui». La procura apre un’inchiesta i carabinieri indagano.
Il dipinto appartiene all’Italia, alle collezioni di Palazzo Pitti fin dal 1824, quando era stato acquistato dal granduca Leopoldo II. Deve essere restituito. Ma dalla Germania fanno sapere che è passato troppo tempo, il reato è prescritto e per la legge tedesca gli eredi del soldato possono tenere l’opera anche se non possono venderla se non al legittimo proprietario: l’Italia appunto. È quasi un paradosso.
L’inchiesta viene chiusa senza procedere. Passano ancora anni. Gli eredi avanzano le offerte tramite i legali e il ministero le respinge: come può l’Italia ricomprare qualcosa che le appartiene? Nel 2011 i carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio Culturale riprendono le indagini e con una capillare ricerca tra gli archivi e le testimonianze arrivano a sapere il nome del soldato e di alcuni dei suoi nipoti. Ma non rintracciano il “Vaso”. Scoprono anche che dopo essersi impossessato del quadro, il soldato lo ha spedito alla sua famiglia, con la posta militare.
La procura di Firenze apre una nuova inchiesta ipotizzando i reati di ricettazione e tentata estorsione. Si attende una rogatoria internazionale e la collaborazione della Germania per risolvere un caso che non è una questione artistica e che non sta più nel perimetro di questo o quel museo. C’entrano gli occhi coi quali leggiamo la Storia. Il rischio è di vedere un’altra volta sparire il «Vaso di fiori» ed è questo il timore del direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, la ragione che lo spinge ad attaccare una riproduzione in bianco e nero con la scritta «rubato» in una sala di Palazzo Pitti. L’unica via per sfuggire al buio è accendere le luci.