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 2019  gennaio 02 Mercoledì calendario

Se la coppa d’Asia diventa un risiko geopolitico

Emirati Arabi Uniti Bahrein, stadio sheikh Zayed, di Abu Dhabi, sabato 5 gennaio ore 17, partita inaugurale della coppa d’Asia, è l’emblema di una competizione che sembra un risiko geopolitico. In poco meno di un mese – finale il primo febbraio – diversi Stati in conflitto tra di loro si scontreranno su un campo di gioco e si vedrà se il calcio sarà al servizio di un’efficace diplomazia o se, come sovente accade, sarà la continuazione della guerra con altri mezzi.
Gli Emirati, padroni di casa, sono l’alleato più fedele della monarchia saudita che tanta parte ha avuto nel sedare in Bahrein le rivolte della maggioranza sciita vessata dalla minoranza sunnita al potere con la dinastia degli al Khalifa. La frattura tra sunniti e sciiti è la conseguenza di uno scontro di potere che lacera la regione più infiammata del mondo. Sui rettangoli verdi la sua riproposizione (sperabilmente) ludica potrà avere un’infinità di variabili. Già dai gironi spicca una problematica partita, Arabia Saudita – Qatar, due vicini ricchi, diversamente ambiziosi e, benché entrambi sunniti, su lati opposti della barricata negli intrighi di potere mediorientali: il piccolo emirato è entrato nell’orbita delle alleanze dell’Iran sciita, l’altra potenza regionale, spauracchio per i già precari equilibri dell’area a causa del sospetto che si stia dotando della bomba atomica.
Il Qatar peraltro ospiterà il Campionato del mondo di calcio 2022, un prestigioso biglietto da visita per accreditarsi in occidente, mentre l’Arabia del principe ereditario Mohammad bin Salman (in calo di credibilità per i sospetti di coinvolgimento nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi) sta cercando di convincere la Fifa ad allargare il numero delle nazioni partecipanti per entrare nell’organizzazione dell’evento e spartire il dividendo d’immagine. Intanto si affaccia al grande calcio ospitando il 16 gennaio a Gedda la Supercoppa italiana tra Juventus e Milan.
Iran – Iraq (gruppo D) sarebbe stata da allarme rosso ai tempi di Saddam Hussein. Gli sciiti ora al potere a Bagdad attenuano la portata delle preoccupazioni, pur se è sempre vivo il ricordo del sanguinario conflitto degli anni ‘80. Suggestiva è Palestina Giordania, visto che nel regno hashemita, dove non si fa un censimento da tempo immemorabile, i palestinesi dovrebbero ormai essere maggioranza della popolazione: un derby, uno scontro praticamente fratricida, ancora più significativo se in qualche piano di pace fa di tanto in tanto capolino l’idea che, se non si risolve la questione palestinese, i palestinesi comunque uno Stato di riserva lo hanno già ed è la Giordania. Né va dimenticato che nel 1970 re Hussein di Giordania sedò nel sangue un tentativo dei palestinesi di rovesciare la monarchia. Per la leggenda Yasser Arafat riuscì a salvarsi fuggendo travestito da donna.
Negli incroci dagli ottavi di finale in poi, sarebbe auspicabile si evitasse Arabia Saudita – Yemen, due Stati in guerra dal 2015. Nel complesso cartellone figurano anche, sempre stando al Vicino Oriente, la Siria e quello che veniva considerato un suo protettorato non felicissimo di esserlo, il Libano. Insomma, intrecci inestricabili e impossibili da sbrogliare per qualunque computer “intelligente”.
Se tutta la vasta area infiammata del mondo arabo è quella che offre il numero più copioso di match a rischio, ci sono comunque altre dispute di sicuro e complicato interesse geopolitico. Basta spostarsi nell’Estremo Oriente. C’è un rischio Giappone – Corea del Nord che riaprirebbe il contenzioso dopo i missili sparati, molto più per provocazione che per esercitazione, da Kim Jong-un nel mare dell’Imperatore.
Nonostante i recenti passi in avanti nelle relazioni, Pyongyang non vorrebbe mai perdere un eventuale incontro con Seul. Per motivi di prestigio i pesi massimi Giappone, India e Cina (guidata in panchina dall’italiano Marcello Lippi che lascerà al fischio finale del torneo) vorranno riaffermare il loro primato anche in campo sportivo.
Nella pancia d’Asia, le Repubbliche ex sovietiche Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan, hanno diversi motivi di attrito che riguardano confini, tutela delle minoranze, accesso all’acqua e sfruttamento dei giacimenti energetici.
Contenziosi ora in sonno ma sempre sul punto di riesplodere.
Negli Emirati Arabi Uniti i loro eventuali duelli non dovrebbero presentare problemi di ordine pubblico. E tuttavia sono da tenere sotto osservazione.
In una manifestazione pervasa dalla politica non poteva mancare un personaggio così chiacchierato da risultare inquietante. È il mister della Siria Bernd Stange, 70 anni, originario della Germania Est che, per il suo curriculum, si è meritato il titolo di “allenatore dei dittatori”. Cominciò trentenne in patria quando prestò i servigi a Erich Honecher. Il suo nome compare negli elenchi delle persone assoldate dalla Stasi, il potente servizio segreto della Germania dell’Est, e il sospetto è che il suo ruolo servisse per controllare i giocatori affinché non tentassero la fuga durante le trasferte fuori dai confini dello Stato. Fu in Iraq per la nazionale di Saddam Hussein a cavallo della sua caduta, scampò a un attentato e riuscì a fuggire in Giordania.
Ripartì dalla Bielorussia di Alexander Lukashenko per approdare infine sulla panchina offerta da Bashar al-Assad.
Più che la Coppa d’Asia sembra la Coppa dei Paesi in conflitto. E pensare che avrebbe potuto essere anche peggio. Perché, per il calcio, Turchia, Israele e Kazakistan sono in Europa, fanno parte dell’Uefa. Altrimenti, invece che spettatori, ci sarebbero voluti eserciti.