Corriere della Sera, 2 gennaio 2019
Il naso di Dante secondo Vercesi
Romanzo, racconto, saggio? Saggio raccontato, piuttosto. Con perizia storico-filologica, Pier Luigi Vercesi (Corteolona, Pavia, 1961) ha scritto un libro di notevole impegno anche per un lettore che fa il lettore di professione: Il naso di Dante (Neri Pozza, pagine 176, e 13,50). E mi viene in mente quanto, al liceo classico, diceva scherzosamente il nostro docente di italiano a proposito dei dantisti che continuavano a sciorinare tesi e riletture del poeta dugentesco: «Si tratta di studiosi che non hanno famiglia». Vercesi la famiglia ce l’ha, eccome. Eppure, con coraggio – cui, credo, non manchi una buona dose di temerarietà – s’è avventurato in qualcosa che, tanto per usare un’espressione dantesca, fa «tremar le vene e i polsi», scorrazzando avanti e indietro lungo sette secoli.
Tutto inizia nell’estate del 1840, quando a Firenze, all’interno della Cappella della Maddalena al Bargello, viene scoperto un affresco di Giotto. Soggetto? Dante giovane, «col naso dolce» piuttosto che quello arcigno della maschera mortuaria. È il periodo in cui nel Granducato vive Seymour Kirkup, «uno stravagante pittore inglese con la passione per lo spiritismo». Corrotto un guardiano, egli si fa chiudere dentro per fare una copia del ritratto che invia a Gabriele Rossetti (autore di un’interpretazione esoterica della Commedia del «ghibellin fuggiasco»), a Londra, dove il poeta e patriota abruzzese è rifugiato.
Ma da dove salta fuori il nome del settantenne Kirkup – allievo e frequentatore di William Blake —, che a Firenze era chiamato lo «stregone inglese»? Da una bancarella di libri usati nei pressi del Tribunale di Milano.
Il libraio aveva ritirato la biblioteca della casa di via Chiossetto 12, di uno studioso della prima metà dell’800, Giuseppe Antonio Maggi (1791-1863), amico e collaboratore di Vincenzo Monti. Fra le carte, c’erano circa 200 lettere di tale Kirkup, in inglese, dirette al figlio di Maggi, Pietro Giuseppe (1817-1873), studioso di lingue orientali. Partendo dalla scoperta del ritratto di Giotto, l’artista inglese parla di sé, delle interpretazioni della Commedia, della Vita nova, ecc.
Il «naso dolce» viene poi ripreso dal figlio di Gabriele Rossetti, Dante Gabriel, pittore simbolista e fondatore – assieme a William Hunt, Ford Madox Brown, Edward Burne-Jones e John Everett Millais – della confraternita dei Preraffaelliti che guardavano a Dante e a Shakespeare. Le lettere di Kirkup vengono offerte dal libraio a Vercesi, il quale si butta a capofitto nella nuova avventura. Come un filologo consumato e «investigatore» alla Sciascia, Pier Luigi scandaglia i mille rivoli della vicenda dantesca (spesso «usata» e «asservita» alle convinzioni di politici e letterati), attingendo alle fonti più diverse e arricchendo il tutto con lunghe citazioni. Nessuna pietà per il lettore medio: o si è una sorta di Pico della Mirandola in chiave moderna o si deve ricorrere continuamente ad enciclopedie & affini. Naturalmente, Dante è visto in lungo e in largo.
Oltre a quelli già citati, ci sono anche Shelley, Foscolo, Byron, Pio IX, il duca Caetano di Sermoneta, de Rougemont, Weis, Eleonora d’Aquitania, e tantissimi altri. Sullo sfondo, i trovatori, le Crociate, il Santo Graal, i Templari, Maometto, Pitagora. Sino a Carducci, De Sanctis, Hawthorne, Eliot, Borges, McLaughlin, Eco. E Mandel’štam, che, secondo Anna Achmatova, era così innamorato di Dante «da apprendere l’italiano per poterlo leggere nella lingua originale e sentirne risuonare i versi come in una partitura».