Corriere della Sera, 2 gennaio 2019
Il caso della manager di 55 anni che non riesce a far carriera perché 35 anni fa rubò due banconote da 50mila lire del portafogli della mamma del suo fidanzato
Fa la manager e a 55 anni vorrebbe entrare nell’Organismo di vigilanza (Odv) di una impresa di costruzioni che fattura alcuni milioni di euro. Ma non ci riesce. Perché da 35 anni resta ostaggio di due banconote da 50.000 lire che avrebbe rubato nel 1983 alla madre dell’allora suo fidanzato. Ostaggio dell’impossibilità di ritrovare adesso quella mancata suocera. E ostaggio quindi della macchina burocratica che, per legge, continua tuttavia a pretendere, per poterle riconoscere l’istituto giuridico della «riabilitazione» e dunque la cancellazione della condanna per furto, la prova dell’oggi impossibile risarcimento di quelle banconote all’allora derubata (e oggi introvabile) parte civile.
La «riabilitazione», istituto alla ribalta nel maggio scorso quando se ne avvalse Silvio Berlusconi dopo aver espiato ai servizi sociali la condanna a 4 anni per frode fiscale, permette al condannato – se siano passati tre anni e abbia manifestato ravvedimento, mantenuto buona condotta e risarcito i danni – di ottenere la cancellazione dei reati dal casellario giudiziario e quindi l’estinzione delle pene accessorie. È quello che servirebbe alla 55enne manager quando nel 2017 sta per entrare nell’Odv di una impresa e si accorge di non potere perché dal passato riemerge un dato ostativo: quella condanna per furto sul casellario giudiziario. Aveva 19 anni quando il 3 maggio 1983 la madre del suo allora fidanzato l’accusò di averle portato via dei soldi dalla borsetta in casa, soldi che invece nella sua difesa erano la compensazione di un dare e avere con il ragazzo. Costui però al processo non l’aveva confermato, e in sentenza il giudice estensore Antonio Nova aveva condannato il 10 luglio 1984 l’imputata a 10 mesi di reclusione per furto e 500.000 lire di multa, pena sospesa dalla condizionale.
Vuoi per la giovane età, vuoi per l’inesperienza, la donna aveva perso consapevolezza del prosieguo processuale della condanna, che era diventata definitiva poco dopo, il 5 marzo 1985.
Nella primavera 2017, per entrare nell’Odv, le serve appunto cancellarla dal casellario. E domanda quindi la riabilitazione al Tribunale di Sorveglianza, che però la boccia perché «l’interessata non ha fornito prova dell’avvenuto risarcimento del danno». La donna, tramite l’avvocato Piergiorgio Weiss, spiega allora che la mancata suocera (con la quale non aveva più avuto alcun rapporto) in quel 1984 si era sì costituita parte civile e aveva ottenuto dal Tribunale il titolo al risarcimento dei danni, ma in seguito non glieli aveva mai chiesti; e, soprattutto, che a distanza di oltre un trentennio non si ha la più pallida idea di dove rintracciarla.
Decide allora di fare una donazione a un ente di ricerca contro il cancro, ma i giudici la ritengono bassa. Allora la raddoppia, portandola a 400 euro (a fronte del controvalore delle due banconote da 50.000 lire), ma di nuovo il Tribunale solleva il problema della mancata ricerca anagrafica della parte civile. È un adempimento impossibile, protesta la manager, perché anche l’Anagrafe, consultata, risponde di non sapere indicare l’eventuale nuovo domicilio in assenza almeno di data e luogo di nascita della signora, di cui la condannata conosce però solo nome e cognome in quanto ulteriori dati non figuravano nemmeno sulla sentenza di condanna di 34 anni fa. E alla fine, per la gioia dei paradossi burocratici e dei casi buffi della vita, la manager si arrende. Addio agli Organismi di vigilanza delle imprese. E convivenza forzata, invece, con l’ineliminabile peso delle banconote da 50.000 lire di 34 anni fa.