Corriere della Sera, 2 gennaio 2019
LeBron James e la questione del copyright sui suoi tatuaggi
A chi appartiene il nostro corpo? Una causa per violazione di copyright presentata in America contro il videogioco Nba 2K suggerisce che la risposta è più complicata del previsto. Il videogioco riproduce gli «avatar» di cestisti come LeBron James, tatuaggi inclusi. In totale, LeBron ne ha 42. Sulla spalla destra porta il nome di sua madre, Gloria. Sugli avambracci il ritratto di suo figlio e il numero 330 (il Cap della sua città: Akron, in Ohio).
Tutti elementi personalissimi della sua identità, ma nel momento in cui sono stati incisi con l’inchiostro sulla sua pelle, secondo la legge americana sul copyright non appartengono a lui. Ogni illustrazione creativa «fissata su un mezzo tangibile» è soggetta a copyright, secondo lo United States Copyright Office. La domanda è dunque se il corpo umano sia un mezzo fisso di espressione, come un quadro o una foto: molti credono di sì, e un tribunale ha emanato già un verdetto in questa direzione. Questo significa che i tatuaggi sono protetti dal copyright e sono di proprietà dell’artista che li ha realizzati.
Per molte persone non è un problema, ma per le celebrità sta cominciando ad esserlo. Gli avvocati concordano sul fatto che esista una sorta di «licenza implicita» che consente di mostrare i propri tatuaggi, in tv e se fotografati sui giornali, poiché è lecito mostrare il proprio corpo liberamente. Le complicazioni legali però sorgono quando si fa uso del tatuaggio in modo separato rispetto al corpo. Il film The Hangover Part II ha fatto parlare di sé non tanto per le vette cinematografiche raggiunte quanto perché ha segnato un precedente sulle questioni di copyright: dopo una brutta sbornia, il protagonista si sveglia con il tatuaggio di Mike Tyson stampato sulla faccia; l’artista che ha realizzato il disegno originale per Tyson ha denunciato Warner Brothers, e il giudice sembrava orientato a dargli ragione, così le parti hanno patteggiato una compensazione.
Quando mostrarli
C’è una licenza implicita che consente di mostrarli in tv o in foto, ma non di farne un uso separato
Nel caso di LeBron la compagnia Solid Oak Sketches si è fatta cedere dagli artisti (con l’inganno, dicono loro) il controllo dei copyright di cinque tatuaggi di tre giocatori di basket, incluso il Cap di LeBron James, e poi ha fatto causa all’azienda di videogiochi Take Two Interactive Software. Solid Oak vuole 819.500 dollari per le passate violazioni del copyright e propone un accordo da 1,14 milioni per gli usi futuri.
Lo stesso problema si apre per i calciatori, contagiati dalla passione per disegni grandi, vistosi, appariscenti sui propri corpi. Lionel Messi per esempio ha il volto della madre sulla schiena, sul tricipite destro Gesù Cristo coronato di spine, sul gomito il Rosone, uno degli elementi decorativi della Sagrada Familia, che celebra l’amore tra l’argentino e la città di Barcellona. Sono tra un centinaio di tatuaggi riprodotti da Electronic Arts nei suoi videogiochi, ma l’azienda potrebbe decidere che è più sicuro «ripulire» dall’inchiostro gli avatar degli atleti.
Il problema non è solo il costo economico ma anche quello logistico di rivolgersi a centinaia di diversi artisti per ottenere il via libera. Ora gli agenti e i sindacati consigliano agli atleti di firmare accordi scritti sul copyright, prima di farsi tatuare. Ma sull’inchiostro ormai versato, c’è poco da fare.
LeBron James ha scritto difendendo le compagnie di videogiochi. «I miei tatuaggi sono parte della mia persona e della mia identità. Se non vengono mostrati sul mio corpo, quella non è una vera rappresentazione di me». Ma pare che per legge non stia a lui decidere.