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 2019  gennaio 02 Mercoledì calendario

Intervista a Walter Ricciardi che si dimette dall’Iis perché teme che l’Istituto venga sottoutilizzato «a causa della mia presenza. Non vengo ritenuto in linea con i partiti oggi al potere»

Walter Ricciardi, napoletano di 59 anni, di solito cerca di far parlare poco di sé. Docente di medicina preventiva dai molti premi e riconoscimenti internazionali, un passato di attore in vari film di successo, in dicembre ha annunciato le dimissioni dal ruolo di presidente dell’Istituto superiore di sanità. «Questo governo ha sempre detto di credere allo spoils system in aree nelle quali in Italia non è previsto: Istat, Inps, Istituto superiore di sanità. Non vorrei che l’Istituto fosse sottoutilizzato a causa della mia presenza, dato che non vengo ritenuto in linea con i partiti oggi al potere».
Il presidente dell’Istat, che produce statistiche, è giunto a scadenza. Quello dell’Inps, che si occupa di pensioni, è al centro di polemiche ma non lascia. Perché lei se ne va?
«La prima ragione è che dopo 4 anni e mezzo di lavoro intensissimo avevo raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato: il risanamento economico-finanziario, la riorganizzazione, il rilancio dell’Istituto».
Poteva completare il mandato, non trova?
«C’è una seconda ragione. Malgrado il buon rapporto personale con la ministra della Salute Giulia Grillo, la collaborazione tra l’Istituto e l’attuale governo non è mai decollata. Al contrario, su molti argomenti alcuni suoi esponenti hanno sostenuto posizioni ascientifiche o francamente antiscientifiche».
Al punto da diventare incompatibili con il suo lavoro?
«È chiaro che quando un vicepresidente del Consiglio (Matteo Salvini, ndr) dice che per lui, da padre, i vaccini sono troppi, inutili e dannosi, questo non è solo un approccio ascientifico. È antiscientifico. Cosa sarebbe di troppo, cosa sarebbe inutile o dannoso questo esponente del governo non lo ha detto. In realtà in Italia stiamo applicando i protocolli e gli schemi internazionali sulle vaccinazioni».
Ha constatato altri casi di questo stesso approccio?
«Dire in continuazione che i migranti portano malattie è senza fondamento e mette in difficoltà le istanze tecniche, costrette a una specie di autocensura per non contraddire il livello politico. E dire che i termovalorizzatori sono una cosa di altri tempi, come ha fatto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, non ha senso. A Copenaghen e Stoccolma si usano termovalorizzatori di ultima generazione, efficientissimi e nel massimo rispetto dell’ambiente. Senza parlare del provvedimento del governo che amplia le opzioni per lo smaltimento dei fanghi in agricoltura: una decisione presa senza valutazione d’impatto sanitario. Eppure queste sono materie decisive per la prevenzione sanitaria e la salute pubblica».
Avreste voluto essere consultati di più?
«Sui vaccini lo siamo stati, anche se è stato creato un nuovo organismo di consulenza affidato a un esterno e nel cui nucleo strategico non figura il direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto, uno dei massimi esperti mondiali in materia. Tutto questo mi ricorda la raccomandazione di Donald Trump al National Institute for Health degli Stati Uniti: non pronunciare più il termine evidence-based, basato su prove scientifiche. È un atteggiamento studiato dai populisti, che hanno una grande difficoltà a interagire con la scienza».
La ministra Grillo dice che dal governo non ci sono mai state pressioni o tentativi di condizionare l’indirizzo scientifico o i programmi dell’Iss. È così?
«Sì. Né ho mai avuto pressioni dal governo precedente e in un Paese civile questa è una necessità: il caso vaccini insegna, come prima Stamina. Guai se la politica interferisce con la scienza. Quando accade è perché ci sono interessi inconfessabili di mezzo, soldi o consenso. E ci rimettono i cittadini. La scienza ha un solo metodo ed è necessario che la politica lo rispetti, come è necessario che gli scienziati mettano a disposizione della politica il meglio del loro sapere».
Anche la legge di bilancio la induce a lasciare?
«No, non è una concausa delle mie dimissioni. Semmai conferma le mie preoccupazioni per il futuro del Servizio sanitario nazionale, di cui l’Istituto superiore di sanità è l’organo tecnico-scientifico. Gli equilibri finanziari della sanità pubblica sono insostenibili, ma anche in questa legge di bilancio non si vedono misure tali da garantire una svolta in futuro. Non ci sono investimenti risolutivi per il personale, da più di dieci anni rimasto senza anche il semplice adeguamento del contratto di lavoro; non ci sono risorse sufficienti per gli investimenti logistici e tecnologici. Ma c’è una sanatoria per gli abusivi delle professioni sanitarie, mortificante per gli operatori che studiano tutta la vita per proteggere salute e sicurezza dei pazienti».
L’aspettativa di vita degli italiani, fra le più alte, sembra contraddire i suoi timori.
«Con questo finanziamento e questi assetti organizzativi il sistema è destinato a un’inesorabile obsolescenza. La longevità in parte è dovuta ai servizi sanitari, ma soprattutto alla genetica, agli stili di vita e all’ambiente. Ma con gli attuali livelli di finanziamento c’è il serio rischio che cominci a regredire, soprattutto in alcune regioni».
L’allarme non è eccessivo?
«Nella storia è già successo, e non solo con la fine dell’Urss. Anche in Danimarca negli anni 80 per esempio. C’è quest’idea che sia ineluttabile che la vita si allunghi. Ma se non si garantisce la sostenibilità del sistema e non si investe in prevenzione, avremo più malati e più oneri. Già oggi assistiamo a una mancata crescita di aspettativa di vita in Italia, sono segnali da non sottovalutare. Chi nasce a Napoli ha già un’aspettativa di vita di vari anni inferiore a una persona di Firenze o di Bolzano».