Corriere della Sera, 2 gennaio 2019
Gli Uffizi reclamano il Vaso di fiori di Jan van Huysum
Con la copia fotografica in bianco e nero del dipinto stretta tra le mani, prima di essere appesa in una delle sale più blasonate della Galleria Palatina di Palazzo Pitti, il direttore della Galleria degli Uffizi, il tedesco Eike Schmidt, lancia un appello alla sua patria. «La Germania ha il dovere morale di restituire questo capolavoro rubato al nostro museo – spiega —. Mi auguro che lo Stato tedesco decida di farlo al più presto insieme ad ogni opera d’arte depredata dall’esercito nazista».
Poi Schmidt, natali a Friburgo, già curatore della National Gallery of Art di Washington e del Getty Museum di Los Angeles, completa la sua opera. E con piglio teutonico appende la stampa del dipinto firmata da Alinari (l’originale è stato creato nei primi del Settecento dal pittore olandese Jan van Huysum), nel punto dove trionfava prima d’essere nascosto, in tempo di guerra, in una villa e poi essere trafugato dai soldati di Hitler. Sulla copia Schmidt ha voluto anche apporre sei etichette con la parola «rubato» tradotta in tre lingue: italiano, inglese e tedesco e con tanto di etichetta esplicativa. E da oggi, quando il museo tornerà aperto al pubblico, c’è chi spiegherà che nonostante la provenienza olandese, «Vaso di Fiori» appartiene legittimamente a Palazzo Pitti, uno dei musei che fanno parte della Galleria degli Uffizi e dunque all’Italia. «Fu acquistato nel 1824 dal granduca Leopoldo II di Lorena per la Galleria Palatina appena fondata», conferma il direttore.
Che poi ammette che le ferite della seconda guerra mondiale e del terrore nazista non sono ancora rimarginate in quel capitolo della storia dedicato all’arte depredata. E propone: «La Germania dovrebbe abolire la prescrizione per le opere rubate durante il conflitto e il nazismo e fare in modo che esse possano tornare ai loro legittimi proprietari». Sono tante purtroppo, probabilmente migliaia. Alcune, come l’olio su tela del pittore fiammingo, sono finite a privati. «Ma non è una ragione perché lo stato tedesco non possa e non debba agire – continua Schmidt —. È una questione di etica e il mio Paese ha il dovere di rispettare la legge morale e cambiare, per esempio, la prescrizione di questi crimini».
Eppure il ritorno del capolavoro non è solo una questione morale. Spiega il direttore: «Fa parte della storia del museo, nella Sala dei Putti, svelava insieme ad altre opere la nascita della natura morta di fine Seicento e inizi Settecento. Dialogava, insieme ad altri autori, con i visitatori contemporanei, creava un’atmosfera precisa, si raccontava e raccontava un’epoca. Non esiste altro luogo dove il capolavoro di Jan van Huysum può essere custodito se non la Sala dei Putti della Galleria Palatina di Palazzo Pitti».
Oltretutto la vicenda è diventata anche un caso giudiziario. La procura di Firenze ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato d’estorsione. Il dipinto, conservato oggi si presume dagli eredi del soldato che lo avrebbe rubato e portato in Germania, è stato offerto alla Galleria degli Uffizi da diversi mediatori per 500 mila euro, un prezzo al ribasso perché il suo valore per gli esperti è di milioni di euro. Una sorta di riscatto (dunque un’estorsione) per una delle tante opere perdute. Come la «Testa di Fauno», una scultura di Michelangelo, conservata al Bargello e rubata nell’agosto 1944 dai nazisti dal castello di Poppi, dove era stata nascosta per salvarla. Ma questa è un’altra storia, una delle tante purtroppo.