Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 30 Domenica calendario

Menti e corpi aumentati nell’epoca elettronica

Quello che colpisce quando si visita la mostra “Real Body, oltre il corpo umano” – la nuova edizione ospitata nello Spazio Ventura XV, a Milano – non è solo il percorso tra corpi e organi umani, ma il fatto che ci sia anche una sezione di biomeccanica, che descrivere la simbiosi che si sta sviluppando tra esseri umani e macchine. 
«Dalle stampanti 3D all’occhio bionico, dagli esoscheletri alla pelle artificiale fino alla hypercar elettrica guidata con sistemi neuronali realizzata dalla startup italiana Zava che riconosce le abilità e le emozioni del guidatore adattandosi ad esso, le macchine sono ora nei nostri corpi e nelle nostre menti e noi nella loro, e questo offusca il confine tra noi e i nostri servitori meccanici» premette Alex Pontini, ricercatore dell’Università di Padova e responsabile scientifico della sezione di biomeccanica della mostra.
L’anatomia del Ventunesimo secolo contempla dunque umani che si uniscono o assumono i poteri della macchina. Ma il fenomeno funziona anche dall’altra parte, macchine che assumono qualità che consideriamo umane. Prologo di un futuro di Humachine? Se come sembra le innovazioni tecnologiche ci permetteranno di “aumentare “i nostri corpi e le nostre capacità umane, i confini dell’”umanità” sono tesi a sollevare seri interrogativi etici. Una tecnologia dirompente può infatti offrire un vantaggio imprevisto sugli altri. Cosa accadrebbe un domani se le persone iniziassero a desiderare, come oggi succede con la rinoplastica, nuovi muscoli o protesi cerebrali per diventare più veloci o più intelligenti? Alle disuguaglianze economiche e di genere andrebbero ad aggiungersi anche quelle biologiche? E poi c’è il grande capitolo dell’intelligenza artificiale, che secondo il filosofo Nick Bostrom potrebbe portare all’estinzione dell’Homo sapiens. 
«L’idea della scienza che elimina la razza umana è uno scenario più legato alle nostre ossessioni che non a rischi reali – precisa Giorgio Metta, vicedirettore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova -. E l’uomo non diventerà vulnerabile fino a quando le macchine non potranno replicare il cervello umano», cosa che Metta ritiene non sia possibile, contrariamente a quanto sostengono i seguaci di Elon Musk e Singularity come Ray Kurzweil. «Il cervello non è computabile perché la coscienza umana è il risultato di interazioni imprevedibili e non lineari tra miliardi di cellule – spiega -. I nostri cervelli non funzionano in modo algoritmico e non sono macchine digitali». Eppure ci sono una serie di scienziati e filosofi che stanno studiando quali progressi tecnologici pongono “rischi esistenziali” e come sia possibile fermarli. Tra questi Huw Price, che dirige il Centro per lo studio del rischio esistenziale (Cser) all’Università di Cambridge e il fisico Max Tegmark del Mit cofondatore del Future of life institute (Fli). Ma l’intelligenza artificale può essere considerata al pari delle pandemie, della bomba nucleare o del riscaldamento globale? «Se ci atteniamo a quello che sappiamo fare oggi, non ci sono pericoli, perché l’Ai è un pezzetto dell’informatica: si programma la macchina affinchè sia in grado di trovare la soluzione in maniera autonoma rispetto al problema che mi sono posto – spiega Metta – Difficile capire come un “soggetto” di questo tipo possa acquisire capacità non note a chi le ha programmate o motivazioni per fare qualcosa di diverso da quello per cui è stato programmato. Ciò che creiamo è comunque frutto di un intervento umano, quindi qualunque danno eventuale sarebbe imputabile all’uomo, nella programmazione o nell’addestramento sbagliato dell’Ai. Se costruisco un sistema che è fatto per guidare un’auto e poi lo stesso sistema lo uso dentro un missile, sono io che ho cambiato completamente prospettiva, non l’intelligenza artificiale». La tecnologia quindi è moralmente neutrale. E poi prima di poter fare previsioni sull’Ai è necessario capire come funzioniamo noi, come nascono le motivazioni e cosa sia la coscienza. Impresa lunga e complicata, «ne abbiamo per almeno 100 anni – conclude Metta – nell’arco dei quali abbiamo altri fattori che minacciano la nostra esistenza, sostenibilità in primis, dopodichè forse potremo porci il problema se l’intelligenza artificale avrà il sopravvento su quella umana».