La Stampa, 30 dicembre 2018
Intervista al fotografo David Bailey: «Amo la classe operaia ma fotografo le regine»
Fotografo di fama internazionale, David Bailey è nato nel 1938 nell’East End di Londra. Il suo primo ritratto pubblicato, nel 1960, fu quello di Somerset Maugham per la rivista Today. Successivamente, quando era a Vogue, incontrò la supermodella Jean Shrimpton. Da allora ha scattato immagini iconiche di personalità leggendarie molto diverse tra loro, tra cui la Regina Elisabetta, i Rolling Stones, Madre Teresa, i gemelli Kray, Damien Hirst, Desmond Tutu e Kate Moss.
Ha sempre fatto il fotografo?
«Prima dipingevo e a volte scolpivo. Ma i soldi li ho fatti dirigendo spot pubblicitari non con la fotografia».
Cosa pensa della moda?
«Devo la mia notorietà alla moda, e realizzo ancora qualche campagna, ma sono più interessato alle modelle. Yves Saint Laurent e Givenchy erano fantastici. Mi piace John Galliano ma si è messo nei guai. Oggi i vestiti sono tutti uguali».
Quali fotografi le piacciono?
«Tim Walker è un grande. Trovo interessante David LaChapelle, ma comincia a essere datato. Mi piace la fotografia senza tempo, come quella di Helmut Newton. I più grandi fotografi di moda sono Steven Meisel e Richard Avedon».
La sua storia è legata alle supermodelle.
«Jean Shrimpton e Kate Moss, e mia moglie Catherine Dyer, e Marie Helvin. Sono stato con Catherine Deneuve per sette anni, ci siamo divertiti. Ho vissuto in un mondo di donne bellissime e alla fine ti metti con le persone con cui lavori».
Qual è la differenza tra Jean Shrimpton e Kate Moss?
«Kate e Jean sono le due migliori modelle della mia vita. Un clic ed eccole: prese. Jean era elegante e bravissima a valorizzare un abito, Kate è affascinante e divertente».
Che tipo di macchina fotografica usa?
«Fotocamere a soffietto e uso al massimo una decina di lastre. Ho un istinto speciale per le persone, le capisco».
Le ha mai creato problemi la sua dislessia?
«Quando ero bambino nessuno sapeva cosa fosse, pensavano che fossi stupido. I miei genitori non erano preoccupati, ma sapevo che dovevo andarmene dall’East End. Nel 1957 entrai nella Royal Air Force di Singapore e ne approfittai».
Perché ci tiene così tanto alle sue origini?
«Perché ti formano per la vita. Sto realizzando un libro sull’East End. Essendo nato lì, sono cresciuto con ebrei e irlandesi. Gli ebrei sono il secondo popolo più intelligente del mondo. Il primo? I cinesi ovviamente!». (ride).
La vita l’ha cambiata?
«Mio padre non capiva ciò che facevo, ma sono orgoglioso di venire dalla classe operaia».
Come è decollata la sua carriera?
«Lavoravo con John French e Tony Snowdon. Non mi piaceva la fotografia di Snowdon e non mi piaceva French, ma bisogna essere pratici e lavorare per chi ti paga. Poi sono andato a Vogue, dove ho firmato un contratto di merda».
E gli uomini che fotografava?
«Nureyev è stato eccezionale, così come Terence Stamp, Michael Caine e Mick Jagger, di cui sono ancora amico».
Si drogava e beveva?
«Bevevo solo, niente droghe. Ho smesso a 32 anni».
Com’è stato fotografare la regina?
«È successo nel 2014. Ha tutto il mio rispetto, lavora tantissimo ed è molto piacevole. È l’essenza di quel genere di persone famose senza aver fatto nulla. È la regina! È come fotografare dio».
Cosa pensa di Teresa May?
«Una persona per bene. Mi spiace per lei. Si dà da fare e cerca di fare il meglio. Chi altro vorrebbe quell’incarico?».
Il politico che più le è piaciuto?
«Desmond Tutu. E Mandela. E Margaret Thatcher. Mi dedicava un’ora, poi finivamo prima e prendevamo il tè chiacchierando. Quando vivevo in Francia con Catherine Deneuve passavamo i fine settimana con Pompidou. Mi piaceva perché aveva una Porsche. Ho fatto degli spot tv per Trump e mi ha offerto un lavoro».
Le piace Trump come presidente?
«No, non proprio, è più che altro un uomo d’affari».
Cosa pensa dell’Inghilterra?
«Io ero per la Brexit. Pensavo che l’Europa fosse un po’ insulsa e che avremmo fatto bene a uscirne. Saremo al verde per un po’ ma supereremo il momento e andremo avanti».
Chi sono i suoi amici artisti?
«Julian Schnabel da 40 anni. Damien Hirst è uno dei miei migliori amici. È ricco, ma per me non conta, una persona o mi piace o non mi piace. Preferisco la classe operaia. Bacon e Freud erano piuttosto eleganti, quindi non avevo nessun rapporto con loro».
Ammirava molto Picasso ma non l’ha mai incontrato.
«No, ma meglio così. Era il mio eroe e se fossi mai stato nel suo studio magari avrebbe scoreggiato».
Che ne pensa dei film?
«Ho fatto un documentario con Andy Warhol. Strano tipo.
Ha voluto girare nel letto».
Quali sono le sue paure?
«Non voglio morire. Ho iniziato a invecchiare a 76 anni, è stancante».
Come è stata la sua vita?
«Una meraviglia. Sono un ragazzo dell’East End molto fortunato. Sono sposato con mia moglie da 37 anni. E l’umorismo è una parte fondamentale della mia vita. Nell’East End ne hai bisogno» (ride).
Si considera un donnaiolo?
«Lo ero. Le donne o ti piacciono o non ti piacciono. Sono amico di tutte le mie ex mogli e amanti».
Si pente di non aver fotografato qualcuno?
«Hitchcock. Mi piaceva. Sono nato a due strade di distanza da lui».
Le sue foto più iconiche?
«Le foto di pin up degli Anni 60. Erano anni speciali e noi eravamo giovani».
C’è meno talento oggi?
«C’è più talento e anche più stupidità».
Come mai è diventato vegetariano?
«Perché mio padre uccise il mio pollo domestico. Mi sono svegliato una mattina e l’ho visto appeso sopra il lavandino. Da allora non mangio carne».
Ha incontrato anche famosi magnati.
«Ho trascorso una settimana sullo yacht di Onassis con Liz Taylor e Richard Burton. Liz era molto dolce. Era sempre ubriaca, quindi non l’ho mai fotografata. Litigavano tutto il tempo: lei gli diceva che era stupido e lui che era crudele».
Ha imparato qualcosa da tutte queste persone?
«No, ma mi hanno colpito».
Nella sua vita ha viaggiato molto. Quali sono i posti che ha trovato più interessanti?
«Ho lavorato con Madre Teresa a Calcutta. Era dura, mi chiedeva ogni giorno 100 dollari. Parlammo del controllo delle nascite e mi disse che tutte le sue suore rimanevano incinte».
Qual è il suo lascito?
«Nessuno. I miei libri sono per l’arte o per il piacere».
(traduzione di Carla Reschia)