Robinson, 30 dicembre 2018
2 settembre 1969, il primo bancomat non si scorda mai
A rendere simpatico il bancomat credo sia l’illusione della sua gratuità. A chi non è successo almeno una volta di imbattersi d’estate, a bordo strada, in un albero carico di albicocche o di ciliegie, pronte a essere depredate senza che alcun ortolano ti rimetta il conto? Ecco, il bancomat ingenera in chi lo usa la stessa sensazione inebriante di far incetta di banconote da una fonte miracolosa. Anche perché il rapporto che si crea è un silenzioso tête-à-tête fra noi e il denaro, senza ombra di imbarazzanti mediatori, senza lo sguardo – mai neutro – di chi siede allo sportello e puntualmente ti sembra voglia farti intravedere l’uso più o meno dissennato che farai del tuo prelievo. E dire che i primi vagiti del bancomat non furono proprio segnati da un tifo popolare. Anzi. Era il 1939, quando un brillante inventore di origini armene – tale Luther George Simjian – depositò a New York il brevetto di un cosiddetto “Dispositivo di cassa automatica”, che di lì a poco fu sperimentato nella principale banca della Grande Mela. Risultato? Un mezzo flop, dicono le cronache. E c’è da capirlo, perché in fin dei conti non era ancora iniziato il grande flirt fra l’umanità e le macchine, quella profondissima intesa che oggi ci vede affidarci in tutto alla competenza degli automi, sostituendo al chirurgo il robot, al postino l’email e – perché no? – al bancario il bancomat. E dunque, con amara sorpresa di mister Simjian, pochissimi newyorkesi accettarono l’idea di affidare i sudati risparmi alla meccanica: troppo più rassicurante sembrò il rito antico del vedersi contare uno a uno i bigliettoni fra le dita esperte dell’addetto dietro al vetro, con annesso valzer di firme e timbri. Fecero eccezione – così almeno si narra nella mitologia bancaria – gli esponenti di certe categorie moralmente abiette ma assai fiorenti nel ventre di Manhattan (truffatori, padroni di bordelli, killer mercenari, giocatori d’azzardo), che viceversa furono ben lieti di maneggiare lo sterco di Satana senza sottostare al cipiglio indagatorio del Cerbero di turno. Ovviamente non bastò, e il brevetto di Luther Simijan finì in soffitta. Un quarto di secolo dopo, senza conoscere il precedente newyorkese, un’analoga idea balzò però in mente allo scozzese John Sheperd- Barron. È lui stesso a raccontare – a beneficio di noi grati posteri – come andò che quella leggendaria sera di metà anni’ 60, a Londra, egli mancò per un minuto l’orario di apertura dello sportello bancario, restando con pochi penny nel portafogli. Furente e affamato, dovette accontentarsi di un cibo scadente, a buon mercato, di quelli rilasciati dai primi distributori automatici di vivande. Ed ecco l’illuminazione: usare lo stesso meccanismo sostituendo ai tramezzini le sterline. Per cui, il 27 giugno 1967, il primo bancomat entrava in funzione in una filiale di Sua Maestà Britannica. Stavolta fu un successo, replicato rapidamente a tutte le latitudini del globo bancario, e spesso battezzato con il meraviglioso segnale” Cash 24h/ 24": suonava davvero come una sorta di attributo divino, di anticipazione dell’Eternità, perché solo gli dèi dell’Olimpo ricevevano 24h/ 24 l’ambrosia immortale dal giardino delle Esperidi. Un’esperienza da brividi, tanto che almeno in un paio contesero per intitolarsene il brevetto, al di là e al di qua dell’Atlantico. Nel frattempo, irrefrenabili, le casse automatiche crescevano e si moltiplicavano. E soprattutto quando (nel 1969) il cerchio si chiuse con l’introduzione della card magnetica, fu a tutti chiaro che il passaggio era di quelli memorabili, da cambiare per sempre usi e costumi, entrando a pieno diritto fra i riti imprescindibili dell’occidente industrializzato (lavarsi i denti, aprire l’automobile, togliere l’antifurto e appunto fare un bancomat). A distanza di mezzo secolo, diciamo che a superarne la pionieristica modernità potrebbe intervenire giusto la definitiva soppressione del contante. Ma è fantascienza, sebbene da molti auspicata e – a intervalli regolari – minacciata come imminente: per adesso non ci sono rivoluzioni in vista, e il prelievo 24h/ 24 può procedere gioioso e festante, sopravvissuto all’epidemia delle card clonate e agli spioni del PIN. Insomma, quello fra noi e il bancomat è un matrimonio felice, finché bancarotta non ci separi. Oppure, semplicemente, la schermata “Fuori servizio”.