Corriere della Sera, 30 dicembre 2018
Storia dei botti
I botti di Capodanno sono, per dirla con Elena Ferrante, una rovinosa «smarginatura». Un fenomeno da riportare nei margini. Materia per una spending review degli usi e dei costumi. Guardiamo i fatti. Dovrebbero segnare il passaggio da un «prima» opaco a un «dopo» luminoso. Invece, proprio perché spostano tutto sulle aspettative piuttosto che sull’agire, il più delle volte accompagnano un trapasso illusorio, se non addirittura tragico.
È ciò che avviene nei capitoli centrali de L’amica geniale o nella fiction di Saverio Costanzo (andate a rivedere quelle scene su Rai play, sono di assoluta attualità simbolica). Il 31 dicembre del 1958, dunque, mentre i Carracci e i Solara si affrontavano a colpi di razzi e tric trac, «in mezzo ad esplosioni violentissime, nel gelo, tra fiumi che bruciavano le narici e l’odore violento dello zolfo», Lila avvertì che ogni margine di umanità stava cedendo, e che anche i suoi «diventavano sempre più molli e cedevoli». I Solara erano passati dalle botte a muro alle pistole. Da espressione di gioia, e poi di potere, cioè di sfida, i petardi erano diventati preludio di violenza. Una metafora neanche tanto esagerata, se su Facebook, nella stessa Napoli, ma sessant’anni dopo, finisce una foto con una lei in minigonna di latex e pistola in pugno, stile Gomorra, e un lui sul balcone a brindare.
Ambientalisti, animalisti, buonsensisti. Tutti dovremmo lasciare i botti illegali sulle bancarelle fuorilegge e moderare l’uso di quelli consentiti. Invece, dicono gli esperti, in una sola notte, i botti esplosi tra Posillipo e Capo di Sorrento rilasciano una quantità di diossina pari a quella prodotta in un anno da 120 inceneritori. Ma anche a Londra, nel 2000, i fuochi per le celebrazioni del millennio immisero nell’aria più veleni di quanti, in un secolo, ne avrebbe potuto produrre un ipotetico inceneritore europeo.
Ogni anno, poi, spaventati dal rumore che avvertono più degli umani, muoiono almeno 5.000 animali, e di questi, specifica il Wwf, circa l’80% sono selvatici, soprattutto uccelli. Il che vuol dire che per il resto nel conto ci sono anche i nostri Trilli e Briciola. Tra gli umani, le cose vanno meglio. Ma non bene. Dal 2013 non si contano più morti, ma aumentano i feriti, e cresce il numero dei bambini coinvolti. A Milano, Brescia, Torino, Bolzano: gli ospedali vanno in tilt ovunque. E cioè avviene nonostante divieti e ordinanze. Del resto, può la sola legge frenare chi usa i petardi proprio per «smarginarla»?
Ovunque chi ricorre ai fuochi di fine anno lo fa per esorcizzare le proprie paure. Gli antichi li usavano per contrastare demoni e spiriti maligni. E i Romani legarono i rituali d’inizio del nuovo anno al dio Giano, in latino Ianus, da cui deriva il nome di gennaio, il primo dei mesi. Ma a Napoli c’è forse un di più. Quell’attaccamento all’ispirazione panica della natura che qui Ungaretti nota durante un suo viaggio nel Mezzogiorno sembra una costante nel tempo. Resta anche quando lo stesso popolo diventa prima democristiano e poi «di sinistra». E nulla si è fatto per modificare le cose. Lo notò per primo Edmondo Berselli. Com’è – si chiese al tempo di Bassolino – che dal considerare le lacrime delle Madonne episodi di bigotteria a favore della Dc, nella campagna elettorale del 1948, si passò al San Gennaro «santo sociale», simulacro del Sud caldo, profondo e progressista? Non aveva letto Fabrizia Ramondino. Può succedere, spiegò, perché a Napoli le bombe alleate o nazifasciste venivano dal cielo e contro di esse ci si rifugiava sotto terra; mentre le scosse del terremoto venivano da sottoterra e ci si rifugiava all’aria aperta. Tradita dal cielo e dalla terra, la città ha continuato a invocare i miracoli contro la sorte, e a praticare i suoi esorcismi. In fondo, la città tradita non ha fatto altro che ispirarsi a uno dei personaggi di Voci di dentro di Eduardo. Nonostante non sia muto, infatti, zi’ Nicola decide di non parlare più, perché ritiene che l’umanità abbia perduto ogni ritegno. Solo ogni tanto «parla» sparando tric trac. Ma perché i napoletani continuano a sparare? Per «fare i napoletani», direbbe La Capria. Per compiacersi e compiacere. O, forse, per rimuovere con la potenza dei fuochi quel senso di impotenza che viene quanto guardi la città. Ancora così bella, ma ancora così imperfetta.