Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2018
BTp, il 2019 parte con un calendario di fuoco
La maxi-correzione da 10,2 miliardi imposta in extremis alla manovra ha fatto evitare all’Italia lo scoglio dell’avvio della procedura d’infrazione. Ma per il nostro debito pubblico il calendario dei primi tre mesi del 2019 resta più che impegnativo. Sul piano istituzionale, scandito dagli appuntamenti del 9 gennaio con la commissione Ue e del 22 con il consiglio europeo, dove i conti italiani torneranno in discussione anche senza il rischio immediato di procedura. E su quello ancora più concreto del mercato, dove a battere il ritmo sono le scadenze dei titoli di Stato e le esigenze di finanziamento accresciute dalla legge di bilancio anche nella sua versione riveduta e corretta.
Solo le scadenze dei bond governativi (Bot esclusi) indicano per i primi due mesi del 2019 37,7 miliardi da rinnovare. Ma il programma è molto più ricco. I calcoli del Tesoro, appena scritti nelle Linee guida sulla gestione del debito pubblico per il 2019, indicano in 50 miliardi di euro il fabbisogno del settore statale per il prossimo anno. E una fetta importante di questi finanziamenti saranno cercati sul mercato nei primi tre mesi.
Il programma dei primi tre mesi mette in calendario nuovi titoli per almeno 30 miliardi fra gennaio e marzo. La fetta più grande, 12 miliardi di ammontare minimo, sarà a carico di un Btp a dieci anni. Gli altri 18 miliardi saranno divisi a metà fra un Buono a tre anni e un CctEu che avrà una durata compresa fra i cinque e i sette anni. Non sono escluse offerte ulteriori, che dipenderanno però dalle condizioni dei mercati per la prima volta orfani degli acquisti diretti da Francoforte con il Quantitative Easing. Un fattore, riconoscono dal ministero dell’Economia, che «pur essendo noto da molti mesi e quindi ampiamente prezzato dal mercato» potrà «avere un impatto sul funzionamento del mercato secondario e sulle scelte di investimento degli altri sottoscrittori del debito». Ma la fine del Qe non è da sola nel sollevare incognite su un orizzonte nel quale anche i rischi geopolitici, l’imprevedibilità americana sui dazi e la crescita economica in frenata trasformano in un esercizio quasi impossibile le previsioni sull’evoluzione dei tassi d’interesse. La manovra mette a bilancio per il prossimo anno 78,9 miliardi di spesa per interessi, cioè 1,4 miliardi in più rispetto alle previsioni di 12 mesi fa. La stima parte dall’impatto sulla curva dei tassi di uno spread sul decennale intorno ai 260 punti, in linea con gli andamenti più recenti (ieri il differenziale con i Bund ha chiuso a 254) dopo che l’intesa ritrovata con Bruxelles ha allontanato i nostri titoli dai picchi di fine dicembre. Il ministro dell’Economia Tria confida in un effetto a lungo termine dell’accordo con la Ue, in grado di abbassare il costo dei bond rispetto alle cifre scritte nel bilancio: ma questa speranza andrà messa sotto esame nella prova sul campo vera e propria che partirà sui mercati alla ripresa di gennaio.
A condizionare queste dinamiche potrà intervenire ancora una volta il nuovo tour di appuntamenti con le agenzie di rating. Il primo è quello con Fitch, che il 22 febbraio diffonderà il nuovo giudizio sui conti italiani dopo che a fine agosto aveva confermato il BBB peggiorando però l’outlook da stabile a negativo. La traduzione di questa prospettiva in un abbassamento del rating porterebbe i titoli italiani nell’area del «non investment grade», che ferma gli acquisti di titoli da parte di una fetta importante degli investitori istituzionali. Qualche incognita in meno potrebbe accompagnare il passaggio del 15 marzo, quando a dare la nuova pagella sull’Italia sarà Moody’s, ma per la ragione semplice che già a ottobre l’agenzia ha tagliato il rating italiano (da Baa2 a Baa3) con outlook stabile. L’accoppiata fra previsioni negative e rating confermato (BBB, anche in questo caso ultimo scalino dell’investment grade) ha riguardato invece a fine ottobre Standard & Poor’s, il cui nuovo giudizio è in calendario per il 26 aprile.