La Stampa, 29 dicembre 2018
Intervista a Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa Italiana: «Dopo una brutta caduta ci si rialza»
«Difficilmente capitano due anni disastrosi di seguito». Raffaele Jerusalmi archivia un anno borsistico da dimenticare e sparge sul futuro un pizzico di polvere di ottimismo. «L’esperienza lascia immaginare la possibilità di rimbalzo», argomenta l’amministratore delegato di Borsa Italiana, convinto fra l’altro che le peggiori aspettative per l’anno entrante potrebbero anche non avverarsi, a partire dall’ondata populista alle elezioni europee. Ciò non toglie che i pericoli restino, numerosi per giunta. «La geopolitica è la variabile chiave, è di qui che discende tutto - assicura il top manager milanese -: incertezza e sfiducia riducono gli investimenti e la propensione al rischio».
Quest’anno è andata così. Mesi da dimenticare, no?
«Il 2018 rimarrà uno dei peggiori anni dei mercati finanziari, non soltanto per la Borsa, ma per tutte le categorie degli investimenti che, in nove casi su dieci, hanno chiuso in negativo. Per ritrovare una situazione negativa bisogna tornare agli Anni Venti».
Così lontano? Non alla crisi di dieci anni fa?
«No, allora almeno i bond erano andati bene».
Cos’è successo di diverso?
«Siamo finiti in uno scenario viziato da tassi in rialzo, incertezza geopolitica e nervosismo legato a varie vicende. E’ stata una Caporetto per gli investitori a livello mondiale. Sono stati disastrosi anche i mercati emergenti, obbligazionari e azionari, con situazioni particolarmente critiche come Argentina e Venezuela».
Colpa delle attese di una frenata della crescita?
«Sicuramente la paura del rallentamento è stata una delle cause principale della crisi, certo quella che più ha scatenato la reazione negativa negli Stati Uniti. Qui, la Fed ha reagito in un modo considerato troppo aggressivo nel prefigurare il rialzo del costo del denaro. La correzione di Wall Street è cominciata così».
Come è continuata?
«Con l’incertezza geopolitica e la guerra dei dazi commerciali. Quest’ultima ha avuto un impatto limitato, perché lo scontro Usa-Cina è poco più che verbale, al momento. Ciò non toglie che abbia schiacciato i mercati e contagiato anche l’Europa».
E i nuovi missili russi?
«Non aiutano a lenire le preoccupazioni. La geopolitica è incerta. Ad esempio, col ritiro americano dalla Siria non si capisce bene chi controllerà quell’area. Hanno demandato tutto alla Turchia? E’ un quadro complesso. E non il solo».
L’Italia poteva fare meglio?
«Dai noi ha pesato tanto soprattutto l’incertezza generata dallo spread, indicatore sintetico della fiducia che i mercati hanno in un Paese. Da luglio in poi, la narrativa del governo contro l’Europa si è fatta aggressiva e i danni sono stati evidenti. Ai mercati non piacciono scontri e tensioni, il braccio di ferro con Bruxelles ha in qualche misura spaventano gli investitori. Fortunatamente adesso viviamo una sorta di tregua. Il clima s’è rasserenato, ma il danno c’è stato. È vero che l’Italia è marginale nel mercato finanziario - pesiamo l’1% degli indici globali azionari. Ma in Europa siamo molto importanti».
C’è la spirale «alto debito-bassa crescita» con cui fare dei maledetti conti, insomma.
«Si sente dire che la colpa è dell’Europa, di questo o di quell’altro. La verità è che, con un debito così alto in termini assoluti, occorre un alto tasso di crescita per poterlo ripagare. E’ una considerazione che riguarda noi come il resto del mondo, visto che il debito complessivo vale tre volte il Pil. Per questo è importante che si aiuti l’economia a crescere, anche se - nella sua percezione possibile - non mi pare che la manovra in via di adozione sostenga la crescita».
La Borsa italiana ha patito la vacatio al vertice Consob?
«Un buon funzionamento dei mercati ha bisogno di un assetto regolamentare stabile e definitivo. Sicuramente è auspicabile che la Commissione abbia un presidente e sarebbe opportuno fosse presto. Come soggetto vigilato, è corretto che non aggiunga altro».
Quali sono i fattori tecnici più rilevanti del tracollo?
«Anzitutto la minore liquidità, perché le banche rispettano ora regole più stringenti e dunque hanno meno possibilità di assumere rischi. I regolatori hanno forse ecceduto negli aspetti di controllo, dimenticando che alla base del funzionamento del mercato finanziario c’è il trasferimento dei rischi al suo interno. E che questo si ferma se le banche hanno minori argini di azione. Così succede che si venda tutti insieme, invece che far scattare gli ammortizzatori che limitano i movimenti repentini degli indici».
È stato scritto che la crisi del 2018 è stata agevolata dalle transazioni che «sono nelle mani dei robot». Vero?
«Non direi che siamo nelle mani dei robot. È stata la combinazione fra le “macchine” e i fondi passivi indicizzati, dagli Etf sino a strumenti più tradizionali. Tendono ad operare in maniera quasi automatica. E le reazioni di tipo meccanico sono più violente rispetto a quando la decisione è di un essere umano che filtra notizie e situazioni. Se non vi sono soggetti che assumono dei rischi, in questo modo può capitare che i mercati continuino ad avvitarsi».
Ecco l’ottovolante del 2018...
«Abbiamo vissuto un “boom market” dal 2012 e il pubblico ha dimenticato i pericoli di un avvitamento al ribasso. Si sono viste reazioni esagerate e repentine. Una follia. Non è bene che i mercati siano così volatili, che si possa perdere il 15% in un mese senza che ci siano state notizie davvero allarmanti. Dovremmo rifletterci, no?»
Il Fintech avanza. Servono nuove norme ad hoc?
«Ne parliamo molto, ma l’applicazione delle tecnologie nel contesto finanziario è ancora agli albori. Alla luce di quello che succede oggi, la regolamentazione mi pare sufficiente. Se però si affacciassero nuove tecnologie dirompenti che cambiassero lo scenario di fondo, allora nuove norme sarebbero necessarie e urgenti».
Pessimista per il 2019?
«Staticamente il 2018 è stato talmente disastroso che appare difficile immaginare un 2019 peggiore, dunque sono molto ottimista, al netto di eventi imprevedibili. L’esperienza lascia immaginare un anno migliore. Si registra molta negatività, nei mercati come nelle persone. Però non è detto che le paure si realizzino. L’incognita delle elezioni europee, ad esempio, pesa sulle valutazioni degli investitori. Si sente annunciare una vittoria schiacciante dei populisti. Io sono sempre scettico davanti alle facili previsioni. Magari potrebbe andare in modo differente».
Per il 2018 avevate previsto 50 Ipo a Piazza Affari. E poi?
«Ci siamo andati vicini, abbiamo avuto 37 ammissioni a listino. C’era una tendenza favorevole che si è smorzata nel secondo semestre».
L’anno prossimo?
«Le ammissioni potrebbero essere 45-50. Immagino un buon numero di operazioni di rilievo sul mercato principale, come Eataly, Esselunga o Valentino, o anche la possibile privatizzazione delle Ferrovie. Sebbene le difficoltà del 2018 potrebbero generare una onda lunga nel primo semestre, vedo più ottimismo che pessimismo per la stagione che s’inizia».