La Stampa, 29 dicembre 2018
Seimila miliardi di dollari di capitalizzazione andati in fumo
Un’unica delusione globale. Gli investitori ricorderanno il 2018 come uno dei peggiori anni degli ultimi decenni. Le vendite hanno colpito tutti i fronti e tutti gli asset, vale a dire tutti gli strumenti di investimento. Un andamento uniforme che soltanto ai mercati azionari è costato 6 mila miliardi di dollari di capitalizzazione e che fa presagire la fine definitiva della fase di rialzi che durava ormai da tempo.
Insieme alle azioni, sono andati a picco anche i titoli di Stato così come pure i bond societari. Anche le piazze dei Paesi emergenti, da anni meta di chi vuole puntare i propri soldi sulla forte crescita, hanno affossato i portafogli di chi investe. Basti dire che l’indice di Shanghai si è inabissato di oltre 20 punti percentuali mentre quello di Hong Kong è sceso di più del 13%. L’anno è stato così nero che alle perdite non ha retto nemmeno l’oro, rifugio per eccellenza di chi si aggrappa alla prudenza nei tempi difficili. Il metallo giallo chiude l’anno con un regresso dello 0,90% (in dollari).
Eppure il 2018 era iniziato con il migliore degli auspici: i nuovi record sui principali listini globali, nelle prime settimane di gennaio, avevano fatto sperare in un altro anno d’oro all’orizzonte che si sarebbe aggiunto alla più lunga serie di rialzi della storia dei mercati. Il disincanto è arrivato subito dopo, a febbraio, insieme alle paure per un aumento più rapido del previsto dei tassi statunitensi da parte della Fed, la Banca centrale americana.
Le cause
Tante sono state però le incognite che hanno pesato nel corso dei mesi, tra ritorno agli acquisti e repentini cali di azioni e obbligazioni. Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina hanno di certo rovinato il clima e fatto perdere terreno alle società dell’export. A pesare è stato anche il nervosismo per la fine del Quantitative easing della Bce (Banca centrale europea) come pure la roulette Brexit e i flop delle società della Silicon Valley, insieme al braccio di ferro tra Italia e Bruxelles.
Una nuova paura si è poi affacciata sulla scena, vale a dire quella di un possibile rallentamento, se non addirittura di una recessione, per l’economia americana. Tutti macigni che hanno fatto fuggire gli investitori prevalentemente nella liquidità, in attesa di tempi migliori. Anche perché la gran parte delle preoccupazioni che tengono in allerta gli operatori sarà centrale anche nel 2019.
I risultati
Guardando ai numeri, a Wall Street le perdite sono arrivate sopra al 6% per il Dow Jones e hanno superato il 7% per l’S&P500. Ben più ampio è il rosso in Europa dove la piazza peggiore è stata quella di Francoforte. I tedeschi hanno, infatti, portato a casa il più brutto anno dalla crisi finanziaria del 2008 con un rosso profondo del 18,5% per il Dax. Si tratta della quinta peggiore performance degli ultimi tre decenni per Francoforte che nel 2017 aveva guadagnato il 12,5%, e il 23 gennaio aveva raggiunto un nuovo record per poi cambiare andamento. Il risultato peggiore è stato quello di Deutsche Bank, che dall’inizio del 2018 ha perso quasi il 60% del proprio valore. Nella lista seguono Milano, che lascia sul terreno il 16,15%, Madrid (-15,4%), Londra (-12,4%) e Parigi (-11,93%) mentre la maglia nera va ad Atene, che nel 2018 ha perso il 24,7%. Per recuperare il terreno perso ci vorrà tempo. Ad affondare è però anche la fiducia nei mercati. Per oltre sei anni i listini hanno conosciuto una sola direzione, vale a dire quella verso l’alto. L’anno che sta per chiudersi sta mostrando quanto il cambio di rotta possa essere improvviso e doloroso per i risparmi.