Corriere della Sera, 29 dicembre 2018
L’assalto degli ultrà, il racconto minuto per minuto
Sette minuti. I sette minuti di una battaglia pianificata nei dettagli. Scelta del luogo, consistenza dell’arsenale e composizione del commando sono state le basi di un’azione militare: il punto dell’assalto individuato calibrando le vie di fuga e la tempistica dell’intervento delle forze dell’ordine, e la trappola dei capi della Curva Nord rimasti fermi al «Baretto» perché come soldati sono stati inviati i più «giovani», insieme agli ultrà di Varese e Nizza. Un’unica regia. E l’esplosione fisica di un amalgama di gemellaggi, odio contro i napoletani, appartenenza all’estrema destra. Soprattutto al movimento «LealtAzione», nel quale militano due dei tre arrestati dopo gli scontri di mercoledì (oggi gli interrogatori). Sono i 31enni Simone Tira e Francesco Baj, figura emergente nel direttivo del gruppo neofascista, e il 21enne Luca Da Ros. La preparazione della battaglia è iniziata poco prima delle 18, a oltre due ore da Inter-Napoli.
Ore 18.00: i capi al «Baretto»La partita è storicamente considerata a rischio. La Questura lo sa bene e si ricorda un precedente di quasi quattro anni fa. Quarto di finale di Tim Cup a Napoli: un centinaio di nerazzurri fermati con bastoni e coltelli. Il dispositivo di ordine pubblico del questore Marcello Cardona prevede una stretta sorveglianza dei capi della Curva Nord. Già dal pomeriggio. Il principale punto d’osservazione è il «Baretto», che sorge dietro lo stadio ed è il tradizionale ritrovo della tifoseria organizzata interista. Agenti in borghese controllano il locale e la dirigenza dei gruppi «Ultras 1975», «Boys San», «Viking» e «Irriducibili». Le 18. Freddo, nebbia e una grande calma. Calma apparente, calma traditrice. Alle 18.30 si aprono i cancelli del Meazza. Il «Baretto» è pieno. Qualcuno si allontana verso lo stadio e altri restano, i bicchieri di birra in mano. Nulla lascia presagire l’imminente rovesciamento dello scenario.
Ore 19.00: l’arrivo dei vanVentiquattro ore prima della partita, la Questura di Napoli invia un fonogramma ai colleghi milanesi. Si parla di circa 150 tifosi della «Curva A», il settore più agguerrito del San Paolo, in arrivo su furgoncini noleggiati. Gli ultras non viaggiano in un unico gruppo, come avveniva negli anni Ottanta. I furgoncini si radunano all’ingresso della città, dopo il casello di Melegnano, e alle 19 sono segnalati dalle telecamere in movimento sulla Tangenziale Ovest. Imboccano l’uscita di San Siro. A metà di via Novara la volante «Meazza 1», come da procedura, riceve l’ordine di andare incontro al convoglio e scortarlo al parcheggio degli ospiti. Le 19.20. La pattuglia arriva all’incrocio con via Sant’Elena, vede un muro di fumogeni e avvisa la centrale.
Ore 19.23: l’assalto e la tragediaUn residente ha così messo a verbale: «Ho sentito dei rumori e mi sono affacciato. Ho visto una quarantina di persone armate di bastoni e spranghe metalliche. Avevano cappucci o passamontagna. Alle 19.23, mentre ero al telefono con il 113, il gruppo partiva di corsa verso via Novara lanciando petardi e oggetti». Le 19.23. L’ora e i minuti dell’offensiva. Cento-centoventi ultrà dell’Inter, dei «Blood Honour» del Varese e del Nizza, invadono via Novara. L’obiettivo è bloccare i napoletani. Imprigionarli in una tenaglia. Ha verbalizzato un secondo residente: «Dopo qualche minuto il gruppo ripiegava verso il parco del Fanciullo. Tre o quattro persone trasportavano a braccia un individuo con i pantaloni strappati urlando “Ha le gambe rotte”. Il ferito veniva caricato su un’auto che partiva a forte velocità. A guidare il gruppo c’erano due persone che impartivano ordini in italiano e in francese». Quel ferito è il 39enne Daniele Dede Belardinelli, uno dei capi dei «Blood honour».
Secondo la Digos, è stato investito nel momento dell’irruzione del commando nella doppia corsia di via Novara, in direzione del Meazza. Nei filmati recuperati dagli investigatori, si vede una macchina scura qualche decina di metri più avanti rispetto ai napoletani, che improvvisamente (forse a forte velocità) scarta da una corsia all’altra e passa con le ruote sopra Belardinelli. Altre testimonianze sostengono che la macchina si sarebbe fermata per poi ripartire. Ma manca una versione limpida. E mancano numeri per rintracciare il veicolo del pirata. Sono gli stessi ultrà napoletani a segnalare agli interisti che Dede è a terra: «C’è uno dei vostri, non si muove, sembra morto».
Ore 4.30: la morte dell’ultràLe 19.29. La Questura sposta verso l’incrocio delle violenze quaranta uomini del reparto Mobile. Gli agenti trovano la colonna di pullmini semidistrutti che avanza. I napoletani non collaborano; i loro feriti (quattro, tutti poco gravi) non vogliono le cure del 118 per non farsi identificare. Alle 20.15, una station wagon raggiunge il pronto soccorso dell’ospedale San Carlo, a tre chilometri da via Novara. Sui sedili anteriori ci sono due ragazzi; tra quelli posteriori e il bagagliaio c’è Belardinelli, il bacino polverizzato. Sembra sia ancora cosciente. Ai soccorritori, i ragazzi danno un nome falso e la data di nascita sbagliata: il nome è quello di un altro ultrà già colpito da Daspo. Forse un errore, forse un depistaggio per evitare collegamenti con la battaglia. Appena i lettighieri estraggono il corpo dalla macchina, i due scappano. Alle 4.30 Belardinelli muore. Dopo gli scontri, molti dei soldati del commando vanno tranquillamente in curva a vedere la partita.