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 2018  dicembre 28 Venerdì calendario

Gianni Morandi ricorda Lucio Dalla

Un amarcord tra le strade di Bologna — «E mi sembra che all’improvviso debba sbucare Lucio», dice Gianni Morandi — seguendo il filo dei ricordi, fino al tour Dalla/ Morandi che li vide protagonisti nel 1988. S’intitola Io e Lucio: Dalla- Morandi, solo 30 anni fa lo speciale in onda domani in prima serata su Canale 5, la storia di una grande amicizia, di un sodalizio artistico finito il primo marzo 2012 con la morte di Dalla. «Non potrò mai dimenticare quando mi telefonarono per dirmi che Lucio non c’era più», racconta Morandi, che impasta nostalgia e sorrisi «perché Lucio era speciale, imprevedibile, generosissimo».
Come nasce questa serata?
«Sono passati trent’anni da un tour storico, è un anniversario importante. Lucio non c’è più e questo è un omaggio alla nostra amicizia, durata quasi 50 anni. Una storia che parte dal 1963 a Bologna, quando andavamo a vedere una squadra che vinceva lo scudetto. Lo incontrai a Taormina, suonava il clarinetto, da quel momento è passata una vita».
"Dalla/Morandi" è entrato nella storia della musica.
«Abbiamo fatto 129 concerti insieme, in tutta Italia e nel mondo. È un amarcord che mi riporta anche nei luoghi dove ci incontravamo con Lucio a Bologna, dal 1963 al 1966, prima che io andassi ad abitare a Roma. Adesso a via D’Azeglio ci sono le luminarie con le parole della canzone L’anno che verrà, Lucio è diventato un richiamo per i turisti. Quando giro per Bologna mi aspetto sempre che sbuchi fuori».
Il tour è nato nel 1988: che paese era?
«Eravamo usciti dall’incubo delle Brigate rosse, avevamo superato gli anni dell’austerity. Occhetto era segretario del Pci. C’era Craxi. Aveva fatto immaginare che l’Italia potesse rinascere, tutti facevano un po’ meno politica ma frequentavano le palestre. Erano gli anni dell’edonismo, ma certo non erano gli anni 60, in cui c’era una speranza straordinaria».
Lei e Dalla raccoglievate un pubblico enorme. Un ricordo speciale?
«Il tutto esaurito al Madison Square Garden di New York, la sfida sul palco per far vedere chi era più forte. Lucio si divertiva a prendermi in giro. Davo il massimo quando cantavo Uno su mille: "Lucio, stasera, è un pareggio". Nel finale cantavamo i grandi successi, Balla balla ballerino, Stella di mare, Fatti mandare dalla mamma e lui mi sparava con una pistola ad acqua. Io mi buttavo a terra».
Perché Dalla era così speciale?
«Perché era generoso, amava stare tra la gente normale. A Natale invitava "i rottami", come li chiamava scherzosamente con affetto, riuniva personaggi disperati, chi aveva bisogno. Faceva tre o quattro presepi, tre o quattro alberi di Natale, amava talmente il Natale che cominciava a settembre ad addobbarli. Musicalmente era unico, risentire le sue canzoni oggi fa impressione».
Le amicizie si misurano nei momenti difficili, ma anche il successo può dividere. A voi è capitato?
«Siamo stati sempre legati. È stato un grande amico quando avevo un successo eccezionale e lui soffriva perché non riusciva a emergere. Facevamo il Cantagiro e vincevo sempre io. Poi le cose si sono invertite, lui era il numero uno, io ero sparito. Ma quando scriveva una canzone nuova mi chiamava subito: "Vedrai che ricominci, sei un grande". Poi negli anni 80 trovai un po’ di brani, girai le fiction, venne a vedermi al Sistina e mi disse che era arrivato il momento di fare una cosa insieme. Michele Mondella, che aveva aiutato Lucio e De Gregori per Banana Republic, si mise al lavoro. Così con Terenzio (manager e promoter, ndr) facemmo Dalla/ Morandi, un tour e un album da un milione di copie».
Che succedeva quando litigavate?
«Urla e strilli. Ma c’era sempre l’affetto, diceva che ero "il pazzo di Monghidoro". Mi chiamava Psycho. Aveva fatto dichiarazioni su Sanremo, "È un gran circo, non ci vado", e mi ero arrabbiato: "Ma come, proprio nell’anno in cui conduco io il festival?". Ripeteva: "L’ho detto per gioco". Lucio non era capace di litigare, voleva fare subito pace».
Poi però venne a Sanremo…
«Mi fece questo regalo, ma litigammo anche in quell’occasione. Voleva mandare Pierdavide Carone, io lo obbligai a venire. Da genio si inventò il direttore d’orchestra che cantava, è stata l’ultima cosa che ha fatto in Italia. Ci siamo visti due giorni prima che partisse per il tour, era un po’ stanco, eravamo d’accordo che l’avrei raggiunto a Francoforte o a Berlino. Poi lui è partito per Montreux. Nella vita ci sono cose che sembrano scritte».
Baglioni ha detto che la vorrebbe a Sanremo: ci andrà?
«Ha fatto una serie di nomi a caso, non c’è niente di serio. Claudio ha detto che quest’anno farà il dirottatore, si diverte così. Sono andato quindici volte a Sanremo: sei in gara, due da conduttore, poi ospite. Basta. Tutto già visto. Mogol mi diceva: "Cavolo Gianni, sembri un ripetente"».
Suo figlio Pietro fa sempre il trapper?
«È fissato, e non vuole condividere niente con me. "Mi raccomando" mi ha detto "sui social io non esisto con te, se no mi rovini l’immagine". È molto simpatico, io spero che continui a studiare all’università».